Vaticano – Papa Francesco: essere cristiani significa accettare la via di Gesù, fino alla Croce

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Papa – Il cristiano è colui che accetta la strada percorsa da Gesù per salvarci, e cioè la strada dell’umiliazione.

Queste le chiare parole di Papa Francesco nella Messa a Casa Santa Marta. Quando i cristiani, i sacerdoti, i vescovi e gli stessi papi non seguono questa via, ha affermato, sbagliano. E ha aggiunto: chiediamo la grazia della coerenza cristiana per non usare il cristianesimo per “arrampicarsi”.

“La gente chi dice che io sia?”, “Voi che cosa dite?”.

Sono le domande contenute nel brano del Vangelo della liturgia di oggi ed è da queste domande che Papa Francesco prende spunto per la sua riflessione.

Il Vangelo, afferma il pontefice, ci insegna le tappe, già percorse dagli apostoli, per sapere chi è Gesù. Sono tre: conoscere, confessare, accettare la strada che Dio ha scelto per Lui.

Conoscere Gesù è ciò che “facciamo tutti noi quando – osserva il Papa – prendiamo il Vangelo, cerchiamo di conoscere Gesù, quando portiamo i bambini al catechismo (…) quando li portiamo a Messa”, ma è solo il primo passo, il secondo è confessare Gesù.

E questo noi, da soli, non possiamo farlo. Nella versione di Matteo Gesù dice a Pietro: “Questo non viene da te. Te lo ha rivelato il Padre”. Possiamo confessare Gesù soltanto con la forza di Dio, con la forza dello Spirito Santo.

Nessuno può dire Gesù è il Signore e confessarlo senza lo Spirito Santo, dice Paolo. Noi non possiamo confessare Gesù senza lo Spirito.

Perciò la comunità cristiana deve cercare sempre la forza dello Spirito Santo per confessare Gesù, per dire che Lui è Dio, che Lui è il Figlio di Dio.

Ma qual è lo scopo della vita di Gesù, perché è venuto? Rispondere a questa domanda significa compiere la terza tappa sulla via della conoscenza di Lui. E il Papa ricorda che Gesù cominciò ad insegnare ai suoi apostoli che doveva soffrire, venire ucciso e poi risorgere.

 

Confessare Gesù è confessare la sua morte, la sua resurrezione; non è confessare: “Tu sei Dio” e fermarci lì, no: “Tu sei venuto per noi e sei morto per me. Tu sei risorto. Tu ci dai la vita, Tu ci hai promesso lo Spirito Santo per guidarci”.

Confessare Gesù significa accettare la strada che il Padre ha scelto per Lui: l’umiliazione. Paolo, scrivendo ai Filippesi, dice: “Dio inviò suo Figlio, il quale annientò se stesso, si fece servo, umiliò se stesso, fino alla morte, morte di croce”. Se non accettiamo la strada di Gesù, la strada dell’umiliazione che Lui ha scelto per la redenzione, non solo non siamo cristiani: meriteremo quello che Gesù ha detto a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana!”.

Papa Francesco fa notare che Satana sa bene che Gesù è il Figlio di Dio, ma che Gesù rifiuta la sua “confessione” come allontana da sé Pietro quando respinge la via scelta da Gesù. “Confessare Gesù – afferma infatti Papa Francesco – è accettare la strada dell’umiltà e dell’umiliazione. E quando la Chiesa non va per questa strada, sbaglia, diventa mondana”.

E quando noi vediamo tanti cristiani buoni, con buona volontà, ma che confondono la religione con un concetto sociale di bontà, di amicizia, quando noi vediamo tanti chierici che dicono di seguire Gesù, ma cercano gli onori, le vie fastose, le vie della mondanità, non cercano Gesù: cercano se stessi.

Non sono cristiani; dicono di essere cristiani, ma di nome, perché non accettano la via di Gesù, dell’umiliazione. E quando leggiamo nella storia della Chiesa di tanti vescovi che hanno vissuto così e anche di tanti papi mondani che non hanno conosciuto la strada dell’umiliazione, non l’hanno accettata, dobbiamo imparare che quella non è la strada.

 

Il Papa conclude con l’invito a chiedere “la grazia della coerenza cristiana” per “non usare il cristianesimo per arrampicarsi”, la grazia di seguire Gesù nella sua stessa via, fino all’umiliazione.

L’umiltà ai nostri giorni è qualcosa di difficile da trovare.

 

Umiltà è una parola fondamentale dell’umanesimo occidentale, al centro di ogni processo educativo, che è presente in ogni persona che stimiamo davvero. Ma, come tutte le parole grandi della vita, anche «umiltà» è ambivalente, perché c’è umiltà buona e umiltà cattiva.

 

Non possiamo dimenticare che, nei secoli passati, in nome del valore dell’umiltà sono state umiliate tante persone, tante donne, tanti poveri. Persone umiliate dai potenti, e magari veniva loro raccomandato di coltivare l’umiltà nella loro umiliazione. Questo uso dell’umiltà e dell’umiliazione è tutt’altro che virtù, e ha generato tanto dolore e ha fatto sfiorire troppe persone. Non è infatti questa umiltà-umiliazione quella che ritroviamo nella Bibbia e nei vangeli, dove invece gli umili vengono «innalzati» (Magnificat), non vengono lasciati umiliati. Nell’umanesimo del Magnificat ciò che si loda è il riscatto di chi è stato umiliato e non lasciato nella sua condizione di vittima.

 

La sola umiliazione buona è quella che ci arriva dalla vita senza che nessuno la voglia. Si preparano i bambini e i giovani all’umiltà buona mettendoli in contatto con la bellezza, con l’arte, con la natura, con la spiritualità, con la poesia, con le fiabe, portandoli con noi ai funerali, facendo loro capire che può esistere un cielo più alto del tetto di casa. E poi un giorno alzare gli occhi e sentire il cielo «infinito e immortale».

 

Allora la prima espressione di umiltà buona è quella che vive chi cerca di riscattare chi è stato umiliato. È una virtù attiva, che non pensa tanto a coltivare la propria umiltà ma a liberare chi è umiliato. L’umiltà più alta di Gesù è quella che ha vissuto sulla croce, nella cacciata dei mercanti dal tempio dove ha liberato Dio dalla logica retributiva che lo aveva umiliato, quando ha salvato la donna dalla lapidazione. È quella del padre che rialza il figliol prodigo dalla sua umiliazione, quell’angelo che consola Agar cacciata via nel deserto dalla sua padrona (Sara), quella di YHWH che ascolta il pianto strozzato di Anna e la innalza donandole un figlio (Samuele).

 

L’umiltà, l’humilitas più importante è quella che sperimenta chi riesce a risollevare il suo volto dalla terra, dall’humus, e guardare di nuovo avanti e in alto con dignità. L’umiltà che salva non consiste nell’abbassare noi stessi (dietro gli auto-abbassamenti si nasconde spesso molto orgoglio), ma nell’innalzare gli altri che sono stati abbassati.

 

Nelle organizzazioni e nella vita in comune, l’umiltà buona si riconosce dai suoi segni.

Il primo è la gratitudine sincera nei confronti della vita, degli altri, dei propri genitori. L’umile è sempre grato. E solo l’umile sa pregare. Un secondo segnale della sua presenza è la capacità di dire «scusa» e «perdonami».

 




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