Vaticano – Papa Francesco incontra il corpo diplomatico

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Papa – È con speranza che il Papa chiede di addentrarci nel tempo che ci attende. Rivolgendosi al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede in occasione del tradizionale scambio di auguri per il nuovo anno, sottolinea fin dall’inizio che anche se la speranza esige “realismo” e che “si chiamino i problemi per nome”, anche se “il nuovo anno non sembra essere costellato da segni incoraggianti, quanto piuttosto da un inasprirsi di tensioni e violenze”, non si può smettere di sperare. Francesco rinnova il suo appello perché la tensione tra Iran e Stati Uniti non degeneri ulteriormente, chiedendo dialogo e rispetto della legalità internazionale.

Sono 183 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede, ai quali vanno aggiunti l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta, fa sapere una Nota Informativa sui Rapporti Diplomatici della Santa Sede al 9 gennaio 2020, diffusa dalla Sala Stampa vaticana. Le Cancellerie di Ambasciata con sede a Roma, incluse quelle dell’Unione Europea e del Sovrano Militare Ordine di Malta, sono 89. Hanno sede a Roma anche gli Uffici della Lega degli Stati Arabi, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Tutto il discorso si snoda nel ripercorrere i viaggi apostolici compiuti nel 2019, occasione per favorire il dialogo a livello politico e religioso, tenendo fermo che l’obiettivo dell’impegno diplomatico della Santa Sede è la pace e lo sviluppo umano integrale. Prima del suo intervento, il saluto del signor Georgios Poulides, Ambasciatore di Cipro e Decano del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

Citando la Giornata Mondiale della Gioventù a Panama e l’incontro con i giovani, Francesco ricorda come “non pochi adulti, compresi diversi membri del clero” si siano resi responsabili di “delitti gravissimi contro la dignità dei giovani, bambini e adolescenti”. Si tratta di “crimini che offendono Dio causando danni fisici, psicologici e spirituali”, rimarca richiamando anche l’incontro in Vaticano del febbraio scorso e il rinnovato impegno per la protezione dei minori attraverso “un ampio spettro di norme” per affrontare questi casi.

Si tratta di ferite così gravi da richiamare l’urgenza del compito educativo. Il Papa ricorda l’evento mondiale del prossimo 14 maggio sul tema: “Ricostruire il patto educativo globale”. L’educazione, osserva Francesco, non si esaurisce nelle aule ma è assicurata principalmente rafforzando il diritto primario della famiglia ad educare e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a collaborare con essa.  Viviamo in un mondo dove ci si tende a chiudere in sé stessi, proteggendo i diritti acquisiti con indifferenza verso gli anziani e non offrendo più spazio alla vita nascente: “L’invecchiamento generale di parte della popolazione mondiale, specialmente nell’Occidente, ne è una triste ed emblematica rappresentazione”.

Sono proprio i giovani a poter offrire molto, con il loro entusiasmo, evidente nel modo in cui tanti di loro si stanno impegnando per sensibilizzare i leader politici sulla questione ambientale perché – rimarca il Papa – “la cura della nostra casa comune dev’essere una preoccupazione per tutti”, non un oggetto di contrapposizione ideologica. In sostanza, richiamano l’urgenza di “una conversione ecologica” intesa in maniera integrale, che però non sembra acquisita dalla Comunità internazionale e l’esito della COP25 di Madrid – nota il Papa – rappresenta “un grave campanello di allarme” circa la volontà della Comunità internazionale di affrontare con saggezza il fenomeno del riscaldamento globale.

Lo sguardo sull’America Latina va al Sinodo per l’Amazzonia per poi volgersi, con preoccupazione, anche sul moltiplicarsi di “crisi politiche in un crescente numero di Paesi”, dove le polarizzazioni non aiutano né “tantomeno può farlo la violenza che per nessun motivo può essere adottata come strumento per affrontare le questioni politiche e sociali”. Nel suo cuore specialmente il Venezuela con l’auspicio che non venga meno l’impegno di cercare soluzioni.

In generale, i conflitti della regione americana, pur avendo radici diverse, sono accomunati dalle profonde disuguaglianze, dalle ingiustizie e dalla corruzione endemica, nonché dalle varie forme di povertà che offendono la dignità delle persone. Occorre, pertanto, che i leader politici si sforzino di ristabilire con urgenza una cultura del dialogo per il bene comune e per rafforzare le istituzioni democratiche e promuovere il rispetto dello stato di diritto, al fine di prevenire derive antidemocratiche, populiste ed estremiste.

Il secondo viaggio di Francesco del 2019 è stato negli Emirati Arabi Uniti. Centrale, qui, la firma del Documento sulla fratellanza con il Grande Imam di Al-Azhar, per richiamare il “concetto di cittadinanza”, per il rispetto della libertà religiosa, rinunciando all’uso discriminatorio del termine minoranze, per la formazione delle nuove generazioni al dialogo interreligioso. Pace e speranza anche al centro della visita in Marocco con l’appello congiunto su Gerusalemme, riconoscendone l’unicità e la sacralità, sottoscritto assieme al Re Mohammed VI. Di qui il pensiero del Papa si estende a tutta la Terra Santa per richiamare la Comunità internazionale al sostegno del processo di pace israelo-palestinese. Un impegno quanto mai urgente anche in altre aree mediorientali.

“Mi riferisco anzitutto – dice – alla coltre di silenzio che rischia di coprire la guerra che ha devastato la Siria nel corso di questo decennio”.  Per il Papa è urgente che si trovino soluzioni di pace e ricostruzione per il popolo siriano così come è forte la gratitudine della Santa Sede per quei Paesi, come Giordania e Libano, che si sono fatti carico di migliaia di profughi.

 

Quindi, il suo sguardo si posa sull’attualità più prossima:  Definiti particolarmente preoccupanti i segnali che giungono dall’intera regione, in seguito all’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti e che rischiano anzitutto di mettere a dura prova il lento processo di ricostruzione dell’Iraq, nonché di creare le basi di un conflitto di più vasta scala che tutti vorremmo poter scongiurare. Rinnovo dunque il mio appello perché tutte le parti interessate evitino un innalzamento dello scontro e mantengano «accesa la fiamma del dialogo e dell’autocontrollo», nel pieno rispetto della legalità  internazionale.

A preoccupare il Papa è anche lo Yemen che vive una delle più gravi crisi umanitarie della storia recente, in un clima di generale indifferenza della Comunità internazionale, e ancora la Libia aggravata anche dalle incursioni degli estremisti, terreno fertile per la piaga del traffico di esseri umani, “alimentato da persone senza scrupoli che sfruttano la povertà e la sofferenza di quanti fuggono”. Nel mondo sono diverse migliaia le persone “con legittime richieste di asilo e bisogni umanitari e di protezione verificabili, che non vengono adeguatamente identificati”, nota Francesco rilevando come il Mediterraneo rimanga “un grande cimitero” e auspicando che tutti gli Stati cerchino soluzioni durature.

Quindi, il discorso del Papa si sposta sul contesto europeo con i tre Paesi toccati lo scorso anno: Bulgaria, Macedonia del Nord e successivamente Romania, accomunati dall’essere ponte fra l’Oriente e l’Occidente. Di qui il suo richiamo a sostenere il dialogo e il rispetto della legalità internazionale per risolvere i “conflitti congelati” che persistono nel Continente, a cominciare dalle situazioni riguardanti i Balcani occidentali e il Caucaso meridionale, fra cui la Georgia. Espresso anche l’incoraggiamento della Santa Sede per i negoziati per la riunificazione di Cipro. E apprezzamento per i tentativi volti a risolvere il conflitto nella parte orientale dell’Ucraina. “Il dialogo – e non le armi – è lo strumento essenziale per risolvere le contese”, ricorda menzionando il contributo offerto proprio in Ucraina dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Mettendo in evidenza che già nel 1949 con la creazione del Consiglio d’Europa e la successiva adozione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo si gettarono le basi dell’integrazione europea, Francesco richiama come pilastro fondamentale la dichiarazione dell’allora ministro degli esteri francese, Schuman, che ricordava come «la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». “Nei Padri fondatori dell’Europa moderna c’era la consapevolezza che il continente si sarebbe potuto riprendere dalle lacerazioni della guerra e dalle nuove divisioni che sopravanzavano solo in un processo graduale di condivisione di ideali e di risorse”, rimarca Francesco, auspicando che l’Europa non perda quel senso di solidarietà che per secoli l’ha contraddistinta.

Non perda quello spirito che affonda le sue radici, tra l’altro, nella pietas romana e nella caritas cristiana, che ben descrivono l’animo dei popoli europei. L’incendio della Cattedrale di Notre Dame a Parigi ha mostrato quanto sia fragile e facile da distruggere anche ciò che sembra solido. I danni sofferti da un edificio, non solo caro ai cattolici ma significativo per tutta la Francia e l’umanità intera, hanno ridestato il tema dei valori storici e culturali dell’Europa e delle radici sulle quali essa si fonda. In un contesto in cui mancano valori di riferimento, diventa più facile trovare elementi di divisione più che di coesione.

Fra i vari anniversari menzionati nel discorso, non manca il riferimento al trentesimo della caduta del Muro di Berlino, “emblematico di una cultura che allontana le persone” e “apre la strada all’estremismo e alla violenza”. “Lo vediamo – dice Francesco – nel linguaggio d’odio” usato nei mezzi di comunicazione sociale. “Alle barriere d’odio, noi preferiamo i ponti della riconciliazione e della solidarietà”, afferma con chiarezza.

Segnali di pace e riconciliazione, il Papa li rileva a proposito del suo viaggio in Africa: in Madagascar, in Mozambico e a Mauritius. Esprime invece dolore per il proseguimento di episodi di violenza in Burkina Faso, Mali, Niger e Nigeria. Violenze anche contro persone innocenti fra cui tanti cristiani uccisi per la loro fedeltà al Vangelo. Terrorismo e conflittualità che permangono in varie parti dell’Africa. Si sottolinea anche la necessità di una risposta internazionale coerente per affrontare il fenomeno degli sfollati interni, cioè che permangono all’interno dei confini nazionali, che non sempre ricevono la protezione che meritano. Il suo sguardo è rivolto anche alla Repubblica Centrafricana dove nel febbraio scorso è stato firmato un accordo globale per porre fine a oltre 50 anni di guerra civile e in particolare al Sud Sudan che il Papa spera di poter visitare quest’anno e al quale ricorda di aver dedicato una giornata di ritiro ad aprile.

Infine, il viaggio apostolico in Thailandia e Giappone. È quest’ultimo Paese con le testimonianze degli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici del 1945, a far ribadire che “non si può costruire una vera pace sulla minaccia di un possibile annientamento totale dell’umanità provocato dalle armi nucleari”. Il Papa ribadisce l’immoralità dell’uso ma anche condanna il loro possesso:

Un mondo senza armi nucleari è possibile e necessario, ed è tempo che quanti hanno responsabilità politiche ne divengano pienamente consapevoli, poiché non è il possesso deterrente di potenti mezzi di distruzione di massa a rendere il mondo più sicuro, bensì il paziente lavoro di tutte le persone di buona volontà che si dedicano concretamente, ciascuno nel proprio ambito, a edificare un mondo di pace, solidarietà e rispetto reciproco.

In questo senso segnalata l’importanza della X Conferenza d’Esame del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, che si terrà a New York. Un pensiero viene rivolto anche all’Australia colpita da persistenti incendi, a cui assicura la sua preghiera.

Infine, parole molto forti le indirizza alle Nazioni Unite il cui impegno “in questi 75 anni, è stato in gran parte un successo, specialmente nell’evitare un’altra guerra mondiale”. Ribadisce quindi che il bene comune è il criterio da seguire superando – auspica – quell’approccio che “mira a legare i diritti fondamentali a situazioni contingenti, dimenticando che essi sono intrinsecamente fondati nella natura stessa dell’essere umano”. In sostanza, anche il linguaggio delle organizzazioni internazionali deve avere un chiaro ancoraggio oggettivo così come appare “urgente”, segnala, andare verso “una riforma complessiva del sistema multilaterale” per renderlo più attuale nel contesto geo-politico odierno.

Il Papa conclude il suo intenso discorso con un’immagine di bellezza: quella di Raffaello Sanzio, morto 500 anni fa, il cui genio era saper comporre armonicamente materie e colori diversi così come la diplomazia è chiamata ad armonizzare le peculiarità dei popoli per edificare un mondo di giustizia e di pace. Il popolo italiano, è quindi inviato a riscoprire quello spirito di apertura al futuro, che ha contraddistinto il Rinascimento e che “ha reso questa penisola così bella e ricca di arte, storia e cultura”.

Maria era uno dei soggetti preferita dal grande artista. Quest’anno ricorre il 70.mo anniversario della proclamazione dell’Assunzione di Maria Vergine al Cielo. E 25 anni fa a Pechino si teneva la IV Conferenza mondiale dell’Onu sulla donna. Un’ occasione per ribadire che “in tutto il mondo sia sempre più riconosciuto il ruolo prezioso delle donne nella società e cessi ogni forma di ingiustizia, disuguaglianza e violenza nei loro confronti”, dice riprendendo un tema già trattato anche nei precedenti discorsi al Corpo diplomatico e in particolare nella sua splendida omelia fatta la scorsa settimana in occasione della Solennità di Maria Madre di Dio:

«Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio». Esercitare violenza contro una donna o sfruttarla non è un semplice reato, è un crimine che distrugge l’armonia, la poesia e la bellezza che Dio ha voluto dare al mondo.

Non a caso il suo discorso volge al termine con lo sguardo rivolto all’Assunzione di Maria, che ci invita a guardare al compimento del cammino terreno nel giorno in cui pace e giustizia saranno pienamente ristabilite, spiegando così il senso di questo impegno che è stato dipanato lungo il discorso: “ci sentiamo così incoraggiati, attraverso la diplomazia, che è il nostro tentativo umano, imperfetto ma pur sempre prezioso, a lavorare con zelo per anticipare i frutti di questo desiderio di pace, sapendo che la meta è possibile”.

 




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