Vaticano – Papa Paolo VI ed il grande veto

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Papa – Monsignor Gilfredo Marengo, nel suo libro di prossima pubblicazione “La nascita di un’enciclica” (una ricerca storica sulla genesi di “Humanae vitae”), riporta i passaggi e i retroscena che portarono alla stampa proprio dell’ultima enciclica scritta da papa Paolo VI, risalente al luglio 1968, incentrata sul matrimonio. Secondo quanto raccolto da Marengo negli archivi del Vaticano, Giovanni Battista Montini pose il veto ad un primo documento, “De nascendae prolis”, nel quale la Santa Sede si sarebbe dovuta esprimere positivamente riguardo l’uso di contraccettivi come la pillola.

Secondo l’autore, la Chiesa pensò di lasciare alle coppie la possibilità di una genitorialità “responsabile” attraverso l’uso dei contraccettivi, a partire appunto dalla pillola. L’ipotesi si fece largo a partire dal 1966 nel corso dell’iter che portò a “Humanae Vitae” due anni dopo. A quanto si apprende da “La nascita di un’enciclica” (realizzato con l’esame dei documenti dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede e nell’Archivio Segreto Vaticano), la fase post conciliare avrebbe dovuto portare a questa conclusione, sostenuta dalla maggioranza di teologi e specialisti consultati sul tema, ma il Pontefice pose il veto.

Monsignor Marengo, riferendosi al Concilio Vaticano II e a “Humanae vitae”, scrive: “Molti erano convinti che mantenersi in sintonia con il concilio esigesse di introdurre radicali mutamenti in questo campo. Una volta riconosciuto il valore in sè dell’esercizio responsabile della paternità, non era ragionevole fare coincidere questo giudizio con l’obbligare le coppie al solo uso dei metodi naturali; la pillola inibitoria andava considerata un mezzo attraverso il quale il fine di evitare un nuovo concepimento veniva raggiunto rispettando le esigenze dell’amore coniugale e la dignità del coniuge”.

“Papa Montini – afferma sempre l’autore del libro – non giudicò accettabile questa tesi sulla quale era stato elaborato il documento della maggioranza approvato a fine giugno del 1966. Paolo VI ritenne più rassicurante mantenersi in un assetto tradizionale, non decise da solo ma fu consapevoleche molti lo avrebbero lasciato solo”.

Secondo le informazioni di queste ore Paolo VI, nell’ottobre 1967, durante il primo Sinodo dei vescovi celebrato in Vaticano, fece chiedere dal cardinale Segretario di Stato un parere sulla contraccezione in vista della pubblicazione dell’enciclica. Soltanto 26 dei 200 vescovi presenti risposero per iscritto. Di questi, la maggior parte si disse favorevole a una qualche apertura alla pillola, i contrari furono 7. Ma Papa Montini, che già aveva sottratto l’argomento alla discussione conciliare e aveva ascoltato i pareri di una commissione di esperti (espressasi in maggioranza a favore dell’apertura), non riteneva che vi fossero elementi per cambiare la posizione fino a quel momento tenuta dai predecessori e promulgò pochi mesi dopo Humanae vitae, uscita nel luglio di cinquant’anni fa, pur senza darle il crisma dell’infallibilità, come alcuni avrebbero voluto.

Dunque L’enciclica, di cui il prossimo 25 luglio ricorre l’anniversario dei 50 anni, fu davvero frutto della decisione coraggiosa di papa Montini che seppe attualizzare con efficacia un valore fondamentale della dottrina cristiana – cioè l’intimo collegamento tra l’amore e la fecondità – ma che poi nella traduzione normativa di quel principio, pur superando posizioni datate, ritenne opportuno mantenersi nel solco della tradizione.

Percorso non casuale ma che in qualche modo potremmo leggere come una decisione a metà strada tra l’intimo convincimento di Montini stesso e la necessità di non prendere le distanze in modo troppo divergente da una Segreteria di Stato e da una Congregazione per la dottrina delle fede ancora nettamente orientate alla difesa delle posizioni di sempre. Per arrivare all’equilibrio di Humanae vitae, Paolo VI fu quindi costretto a superare lo scoglio di un’altra enciclica, De nascendae prolis, densa di dottrina e di normatività restrittiva. Un testo già stampato nella versione ufficiale latina che avrebbe dovuto vedere la luce il 23 maggio 1968 ma che poi, con scelta davvero profetica, il Papa decise alla fine di mettere da parte.

«Dal punto di vista dell’impianto generale – spiega don Marengo – colpisce l’intenzione di accrescere, per quanto possibile, il profilo dottrinale già dominante in quello della Congregazione». Ne risultava un’enciclica che, eliminato già nei primi paragrafi il richiamo allo specifico cristiano della comprensione dell’amore coniugale, finiva per configurarsi «come un rigoroso pronunciamento di dottrina morale». Ma non solo, padre Ciappi introdusse anche il richiamo all’eccellenza del celibato e della verginità consacrata e una forte sottolineatura del primato del fine procreativo, in linea con la Casti connubi di Pio XI (1931). Un po’ troppo anche per quell’epoca.

Quando quel testo, come detto già stampato in latino, arrivò in mano ai traduttori, ecco il colpo di scena. Furono soprattutto i teologi francesi (tra gli altri Paul Poupard) e spagnoli (Eduardo Martinez Somalo) a segnalare l’inaccettabilità di un impianto decisamente preconciliare. Il cardinale Giovanni Benelli, allora sostituto di Stato, segnalò il problema a papa Montini. Breve riesame e l’enciclica venne subito congelata. La patata bollente passò a un altro teologo domenicano, padre Benoit Duroux, consultore della Dottrina della fede. Ma anche quel testo non risultò del tutto agevole. Allora, all’inizio di luglio, fu lo stesso Paolo VI a riprendere tutta la sezione pastorale del testo, con una serie di sottolineature di profonda delicatezza che ancora oggi rivelano la sua impronta. Cambiò anche il titolo. Da Vitae tradendae munus, al più immediato Humanae vitae. Nel nuovo libro di Gilfredo Marengo viene pubblicato il testo dell’enciclica con tutte le correzioni manoscritte del Papa.

 




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