Vaticano – Papa – Udienza Generale – “Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”

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Papa – Questa mattina all’udienza generale in Piazza San Pietro, alla presenza di circa 50mila fedeli, il Papa ha rivolto una forte esortazione a perdonare, ricordando che Gesù inserisce nei rapporti umani la forza del perdono. Papa Francesco prosegue la sua riflessione sul “Padre Nostro” concentrandosi oggi sull’espressione “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”

Il perdono che siamo capaci di dare agli altri è quanto di più prezioso abbiamo ricevuto. Lo ricorda Papa Francesco stamani nella catechesi all’udienza generale in Piazza San Pietro, rivolgendo un forte invito a perdonare così come siamo stati perdonati da Dio. Il Papa completa così la riflessione sulla quinta domanda del “Padre Nostro”, soffermandosi, questa volta, sull’espressione “come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Non esistono, infatti, nella Chiesa “‘self made man’, uomini che si sono fatti da soli”, perché “tutti – chiarisce – siamo debitori verso Dio” e “Gesù inserisce nei rapporti umani la forza del perdono”.

Nella vita non tutto si risolve con la giustizia. No. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. Il male conosce le sue vendette, e se non lo si interrompe rischia di dilagare soffocando il mondo intero. Alla legge del taglione – quello che tu hai fatto a me, io lo restituisco a te (…) – Gesù sostituisce la legge dell’amore: quello che Dio ha fatto a me, io lo restituisco a te! 

Il perdono è quanto di più prezioso abbiamo ricevuto

Il Papa esorta, quindi, se non ci si sente capaci di perdonare, a chiedere al Signore questa grazia, “perché – sottolinea – è una grazia”:

Dio dona ad ogni cristiano la grazia di scrivere una storia di bene nella vita dei suoi fratelli, specialmente di quelli che hanno compiuto qualcosa di spiacevole e di sbagliato. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo trasmettere agli altri ciò che abbiamo ricevuto di più prezioso. Qual è la cosa preziosa che noi abbiamo ricevuto? Il perdono, che dobbiamo essere capaci di dare anche agli altri.

La riflessione di Francesco si snoda lungo il capitolo 18 di Matteo, quando Gesù dice a Pietro che deve perdonare “fino a settanta volte sette”. “Chi prega, impara a dire ‘grazie’” mentre “noi ci dimentichiamo tante volte di dire ‘grazie’”, ricorda ancora il Papa, mettendo in evidenza che Dio ci ama “infinitamente più di quanto noi lo amiamo” e che “per quanto ci sforziamo”, ci sarà sempre “qualcosa di cui chiedere perdono”. Basti pensare ai “giorni trascorsi pigramente” o ai “momenti in cui il rancore ha occupato il nostro cuore”. Esperienze “non rare” che fanno implorare: “Rimetti a noi i nostri debiti”. L’invocazione poteva limitarsi a questa prima parte ma Gesù “la salda con una seconda espressione che fa tutt’uno con la prima” tramite “una congiunzione impietosa”: “chiediamo al Signore di rimettere i nostri debiti, i nostri peccati, ‘come’ noi perdoniamo i nostri amici, la gente che vive con noi, i nostri vicini”, esorta ancora il Papa. La relazione di benevolenza verticale da parte di Dio è chiamata, quindi, a tradursi in una relazione nuova con i fratelli.

Se non perdoni, Dio non ti perdonerà. Chiudi la porta

Ogni cristiano, infatti, sa che esiste per lui il perdono dei peccati, che Dio perdona tutto e sempre, ribadisce il Papa, sottolineando però che la grazia di Dio “è sempre impegnativa”, cioè chi ha ricevuto tanto, deve imparare a dare tanto, come sottolinea sempre il Vangelo di Matteo: “se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”.  Il Papa ricorda che tante volte la gente dice che non perdonerà mai “quella persona”. Ma, avverte, “se tu non perdoni, Dio non ti perdonerà. Tu chiudi la porta”. E, in proposito, ricorda la parabola del debitore di 10mila talenti a cui il re condona il debito, mentre lui non lo condona ad un suo fratello che gli doveva 100 denari e il padrone, alla fine, lo fa condannare.  Quindi richiama l’esperienza di un prete che era angosciato perché, andando a dare gli ultimi sacramenti ad un’anziana in punto di morte, quando le chiese se si pentisse dei suoi peccati, rispose di “sì” mentre alla domanda se perdonasse gli altri, rispose di “no”:

Se tu non perdoni, Dio non ti perdonerà. Pensiamo, noi che stiamo qui, se noi perdoniamo o se siamo capaci di perdonare. “Padre, io non ce la faccio, perché quella gente me ne ha fatte tante”. Ma se tu non ce la fai, chiedi al Signore che ti dia la forza per farcela: Signore, aiutami a perdonare. Ritroviamo qui la saldatura tra l’amore per Dio e quello per il prossimo. Amore chiama amore, perdono chiama perdono.

A ragazzi di Milano: il Vangelo sia la vostra regola di vita

Nei saluti ai pellegrini di lingua italiana, in particolare il Papa ha voluto salutare un gruppo di preadolescenti di Milano, accompagnati anche dal loro arcivescovo, monsignor Mario Delpini, incoraggiandoli a crescere nella fede e nella carità. “Il Vangelo – li ha esortati – sia la vostra regola di vita, come lo fu per i vostri santi: Ambrogio e Carlo, i quali con l’amore cambiarono il loro mondo”.

Consegnato il testimone della Staffetta della Speranza

Al termine dell’udienza, un bambino di 4 anni, guarito da una grave forma tumorale, ha poi consegnato al Papa il testimone della “Staffetta per la Speranza”, la maratona benefica dedicata a bambini e ragazzi d’Italia colpiti da leucemie e malattie rare, che si è conclusa oggi con l’udienza in Piazza San Pietro. Una delegazione della stessa Staffetta ha anche dato a Papa Francesco una busta con i messaggi di bambini dagli 8 ai 13 anni che attualmente stanno in terapia e di uno di 25 anni che è guarito e una targa della “Città della Speranza”, la fondazione che organizza l’iniziativa, e il Papa ha autografato una maglietta già firmata dagli atleti che hanno preso parte alla maratona.

Ecco l’intero testo.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi completiamo la catechesi sulla quinta domanda del “Padre nostro”, soffermandoci sull’espressione «come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Abbiamo visto che è proprio dell’uomo essere debitore davanti a Dio: da Lui abbiamo ricevuto tutto, in termini di natura e di grazia. La nostra vita non solo è stata voluta, ma è stata amata da Dio. Davvero non c’è spazio per la presunzione quando congiungiamo le mani per pregare. Non esistono nella Chiesa “self made man”, uomini che si sono fatti da soli. Siamo tutti debitori verso Dio e verso tante persone che ci hanno regalato condizioni di vita favorevoli. La nostra identità si costruisce a partire dal bene ricevuto. Il primo è la vita.

Chi prega impara a dire “grazie”. E noi ci dimentichiamo tante volte di dire “grazie”, Siamo egoisti. Chi prega impara a dire “grazie” e chiede a Dio di essere benevolo con lui o con lei. Per quanto ci sforziamo, rimane sempre un debito incolmabile davanti a Dio, che mai potremo restituire: Egli ci ama infinitamente più di quanto noi lo amiamo. E poi, per quanto ci impegniamo a vivere secondo gli insegnamenti cristiani, nella nostra vita ci sarà sempre qualcosa di cui chiedere perdono: pensiamo ai giorni trascorsi pigramente, ai momenti in cui il rancore ha occupato il nostro cuore e così via. Sono queste esperienze, purtroppo non rare, che ci fanno implorare: “Signore, Padre, rimetti a noi i nostri debiti”. Chiediamo così perdono a Dio.

A pensarci bene, l’invocazione poteva anche limitarsi a questa prima parte; sarebbe stata bella. Invece Gesù la salda con una seconda espressione che fa tutt’uno con la prima. La relazione di benevolenza verticale da parte di Dio si rifrange ed è chiamata a tradursi in una relazione nuova che viviamo con i nostri fratelli: una relazione orizzontale. Il Dio buono ci invita ad essere tutti quanti buoni. Le due parti dell’invocazione si legano insieme con una congiunzione impietosa: chiediamo al Signore di rimettere i nostri debiti, i nostri peccati, “come” noi perdoniamo i nostri amici, la gente che vive con noi, i nostri vicini, la gente che ci ha fatto qualcosa di non bello.

Ogni cristiano sa che esiste per lui il perdono dei peccati, questo lo sappiamo tutti: Dio perdona tutto e perdona sempre. Quando Gesù racconta ai suoi discepoli il volto di Dio, lo tratteggia con espressioni di tenera misericordia. Dice che c’è più gioia nei cieli per un peccatore che si pente, piuttosto che per una folla di giusti che non hanno bisogno di conversione (cfr Lc 15,7.10). Nulla nei Vangeli lascia sospettare che Dio non perdoni i peccati di chi è ben disposto e chiede di essere riabbracciato.

Ma la grazia di Dio, così abbondante, è sempre impegnativa. Chi ha ricevuto tanto deve imparare a dare tanto e non trattenere solo per sé quello che ha ricevuto. Chi ha ricevuto tanto deve imparare a dare tanto. Non è un caso che il Vangelo di Matteo, subito dopo aver regalato il testo del “Padre nostro”, tra le sette espressioni usate si soffermi a sottolineare proprio quella del perdono fraterno: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). Ma questo è forte! Io penso: alcune volte ho sentito gente che ha detto: “Io non perdonerò mai quella persona! Quello che mi hanno fatto non lo perdonerò mai!”. Ma se tu non perdoni, Dio non ti perdonerà. Tu chiudi la porta. Pensiamo, noi, se siamo capaci di perdonare o se non perdoniamo. Un prete, quando ero nell’altra diocesi, mi ha raccontato angosciato che era andato a dare gli ultimi sacramenti ad un’anziana che era in punto di morte. La povera signora non poteva parlare. E il sacerdote le dice: “Signora, lei si pente dei peccati?”. La signora ha detto di sì; non poteva confessarli ma ha detto di sì. È sufficiente. E poi ancora: “Lei perdona gli altri?”. E la signora, in punto di morte ha detto: “No”. Il prete è rimasto angosciato. Se tu non perdoni, Dio non ti perdonerà. Pensiamo, noi che stiamo qui, se noi perdoniamo o se siamo capaci di perdonare. “Padre, io non ce la faccio, perché quella gente me ne ha fatte tante”. Ma se tu non ce la fai, chiedi al Signore che ti dia la forza per farcela: Signore, aiutami a perdonare. Ritroviamo qui la saldatura tra l’amore per Dio e quello per il prossimo. Amore chiama amore, perdono chiama perdono. Ancora in Matteo troviamo una parabola intensissima dedicata al perdono fraterno (cfr 18,21-35). Ascoltiamola.

C’era un servo che aveva contratto un debito enorme con il suo re: diecimila talenti! Una somma impossibile da restituire; non so quanto sarebbe oggi, ma centinaia di milioni. Però succede il miracolo, e quel servo riceve non una dilazione di pagamento, ma il condono pieno. Una grazia insperata! Ma ecco che proprio quel servo, subito dopo, si accanisce contro un suo fratello che gli deve cento denari – piccola cosa -, e, pur essendo questa una cifra accessibile, non accetta scuse né suppliche. Perciò, alla fine, il padrone lo richiama e lo fa condannare. Perché se non ti sforzi di perdonare, non verrai perdonato; se non ti sforzi di amare, nemmeno verrai amato.

Gesù inserisce nei rapporti umani la forza del perdono. Nella vita non tutto si risolve con la giustizia. No. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. Il male conosce le sue vendette, e se non lo si interrompe rischia di dilagare soffocando il mondo intero.

Alla legge del taglione – quello che tu hai fatto a me, io lo restituisco a te, Gesù sostituisce la legge dell’amore: quello che Dio ha fatto a me, io lo restituisco a te! Pensiamo oggi, in questa settimana di Pasqua tanto bella, se io sono capace di perdonare. E se non mi sento capace, devo chiedere al Signore che mi dia la grazia di perdonare, perché è una grazia il saper perdonare.

Dio dona ad ogni cristiano la grazia di scrivere una storia di bene nella vita dei suoi fratelli, specialmente di quelli che hanno compiuto qualcosa di spiacevole e di sbagliato. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo trasmettere agli altri ciò che abbiamo ricevuto di più prezioso. Qual è la cosa preziosa che noi abbiamo ricevuto? Il perdono, che dobbiamo essere capaci di dare anche agli altri.

 




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