La Gran Bretagna e quel gran pasticcio di nome BREXIT

303

Brexit – La Brexit continua ad essere causa di polemiche, divisioni, dimissioni, incertezza.
Uscire dall’Unione Europea non è facile perché i poteri forti sanno come muoversi alle spalle delle scelte dei cittadini In queste ore in Gran Bretagna regna un vero e proprio caos politico con il governo che perde i pezzi e con il primo ministro abbandonato da una parte del suo partito.
Ma cerchiamo di fare ordine su questa vicenda intricata oltre l’immaginabile.
La vittoria di Pirro della premier Theresa May, che mercoledì ha strappato il sì a maggioranza del suo governo all’accordo di 585 pagine su Brexit – una exit morbida nonché una vittoria schiacciante della Ue che ha imposto le sue condizioni – è durata appena 12 ore.
Il deputato Tory Jacob Rees-Mogg, capofila dei brexiteers più radicali, ha formalizzato la sua richiesta di una mozione di sfiducia contro Theresa May in una lettera al comitato 1922, l’organismo di partito che sovrintende alla convocazione di elezioni per la leadership. Nella lettera, May viene accusata di aver violato «le promesse fatte alla nazione» sulla Brexit. Rees-Mogg ha un seguito di circa 50-60 deputati, sufficienti in teoria a far scattare l’iter, ma occorrono 48 lettere di deputati alla commissione per presentare la mozione, lettere che finora non sono arrivate: finora risulta inferiore al quorum necessario. Rees-Mogg si dice comunque convinto che May sarà rimpiazzata «non in mesi ma in settimane».
Sulla vicenda è giunto puntuale l’intervento del primo ministro: infatti secondo il premier britannico May, l’accordo va nella direzione giusta. “Questa è una Brexit che rispetta la volontà del popolo, nonostante le scelte difficili”. L’intesa è quella giusta. Theresa May ci crede davvero, “con tutta se stessa”. E ritiene anche che questa sia la direzione più corretta per il Paese e per il suo popolo. Il Primo Ministro britannico, a poche ore da un terremoto politico che ha portato alle dimissioni di alcuni ministri del suo governo, va avanti. E afferma, con sicurezza, che “questa è una Brexit che rispetta le priorità del popolo”, nonostante, nel corso delle trattative, siano state necessarie delle “decisioni difficili”. “Sin dall’inizio ho saputo che il mio desiderio era arrivare al traguardo per il popolo britannico, per onorare il voto espresso nel referendum”. Che nel 2016 ha determinato un divorzio politico dall’Europa lungo e complicato. “Nessuno ha proposto un’alternativa che rispetti il voto e garantisca anche che non ci sia un confine fisico in Irlanda”, ha spiegato May. E torna sulle polemiche. Comprende le ragioni del disaccordo di alcuni, ma conferma l’impossibilità di un’intesa senza “backstop”. Ma soprattutto, per May, è evidente che non ci sarà un altro referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. “Se non andiamo avanti con questo accordo nessuno può essere certo delle conseguenze. Significherebbe intraprendere un percorso di profonda e grave incertezza, mentre il popolo britannico vuole solo che noi andiamo avanti”. L’accordo, onora il mandato referendario.
Il governo britannico resta comunque nel caos. Dopo il sì del consiglio dei ministri di ieri alla bozza di accordo sulla Brexit raggiunta da May con le autorità europee, sono arrivate le dimissioni di quattro membri dell’esecutivo euroscettici che ora mettono a serio rischio il futuro politico di Theresa May e di tutto il Regno Unito.
La perdita più importante è l’addio del ministro della Brexit Dominic Raab, che era il negoziatore capo del Regno Unito nelle trattative con l’Unione Europea. Un addio clamoroso, perché Raab non era dato negli ultimi giorni come tra i più ribelli dell’esecutivo. Invece ecco la sorpresa: ha mollato con una lettera formale ma pesantissima su Twitter: “Non posso sostenere l’accordo con l’Ue”, ha scritto lui stesso che ha negoziato quell’accordo, “la soluzione proposta per l’Irlanda del Nord rappresenta una minaccia reale all’integrità del Regno Unito”. A seguire Raab poco dopo anche la sottosegretaria alla Brexit Suella Braverman.
Ieri mattina hanno lasciato anche uno dei sottosegretari per l’Irlanda del Nord, Shailesh Vara, e la ministra del Lavoro Esther McVey. Vara, come Raab, non accetta il compromesso sull’Irlanda del Nord, che prevede una sorta di mercato unico con l’Ue a tempo potenzialmente indeterminato, cosa che, secondo lui la slegherebbe dalla Gran Bretagna (cioè il resto del Regno Unito). Sostiene Raab: “Siamo una nazione orgogliosa e ci siamo ridotti ad obbedire alle regole fatte da altri Paesi che hanno dimostrato di non avere a cuore i nostri migliori interessi. Possiamo e dobbiamo fare meglio di questo. Il popolo del Regno Unito merita di meglio”.

McVey invece è sempre stata tra i più critici e oggi lo ha confermato sbattendo duramente la porta: “L’accordo di May non rispetta il risultato del referendum del 2016, siamo passati da una situazione per cui nessun accordo era meglio di un cattivo accordo a un’altra per cui un cattivo accordo è meglio di nessun accordo con l’Ue. Io non ci sto”.
Chi ha partecipato al Consiglio dei Ministri narra di scene drammatiche, di almeno due ministri in lacrime e ad un certo punto i ribelli euroscettici avrebbero raccolto le firme per sfiduciare May come leader del partito. Poi hanno rinunciato, ma ormai è chiaro che hanno voluto soltanto aspettare per lanciare la loro offensiva contro la May. Non è detto però che oggi stesso arrivi una mozione di sfiducia, anche se ci sarebbero almeno 50 firme dei deputati tories, abbastanza per sostenerla.
Le tre dimissioni di oggi portano a 21 il computo delle uscite di ministri dal governo May negli anni.
Di fronte alla crescente rivolta contro May è intervenuto invece il capo-negoziatore per l’Ue, Michel Barnier, in una conferenza stampa all’Europarlamento: “Resteremo molto calmi e metodici, la bozza di accordo rappresenta “un punto importante di questo lungo negoziato”, ma “non siamo alla fide della strada”, ha spiegato Barnier. “Restano diverse tappe, compresa la ratifica” da parte dell’Europarlamento e del Parlmento britannico.
Il capo-negoziatore Ue ha rifiutato di rispondere alle domande su un eventuale piano B, nel caso in cui l’accordo venisse rigettato a Londra. Secondo Barnier, “Theresa May si è assunta le sue responsabilità” accettando un accordo con l’Ue che permette di “ridare certezza” su quello che accadrà con la Brexit. E’ “una soluzione giusta e equilibrata che tiene conto delle esigenze del Regno Unito e le nostre”, ha spiegato Barnier.
Parlando a Potsdam, invece, è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel ad affermare che “c’è un documento sul tavolo al quale hanno dato il loro assenso sia l’Ue che il Regno Unito. La questione di un ulteriore negoziato dunque non si pone in questo momento”. D’altronde, Merkel si dice “molto felice” che si sia riusciti “dopo lunghe e non semplicissime trattative” a presentare una proposta sottoscritta da ambo le parti. “Ora gli altri 27 Stati membri dell’Unione europea devono verificare se questa accordo possa essere da loro sostenuto. E’ una cosa che va analizzata”.
Il premier francese, Edouard Philippe, ha avvertito che nonostante si sia trovata un’intesa tra Ue e Londra per la Brexit, il rischio di un no-deal “è ancora sul tavolo”. “Non c’è modo di sapere se un accordo verrà alla fine trovato”, ha sottolineato durante una visita a Dunkerque per discutere delle eventuali conseguenze della Brexit sulle operazioni del porto francese sulla Manica. Le notizie che giungono da Londra, con le dimissioni di diversi ministri britannici in protesta contro l’accordo raggiunto, alimentano dubbi e preoccupazioni sul fatto che l’intesa “verrà effettivamente ratificata”. “Quindi ci dobbiamo preparare alla possibilità che è ancora sul tavolo – che noi non vogliamo, lo dico molto chiaramente – di un’uscita senza accordo”, ha concluso Philippe.
Il vertice straordinario sull’accordo per la Brexit è convocato per il 25 novembre, alle 9,30. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk in una conferenza stampa congiunta col capo negoziatore dell’Unione Michel Barnier. Potrebbe essere dunque questo il giorno da cerchiare in rosso per la certificazione politica del patto di divorzio consensuale tra Unione europea e Regno Unito. La data del summit Ue straordinario è stata evocata ieri, 14 novembre, dal premier irlandese Leo Varadkar durante il suo discorso in Parlamento a Dublino, ed è un appuntamento cruciale.
Ma quali saranno, sorprese a parte, le prossime mosse che riguardano la Brexit?
Entro il 29 marzo 2019 sono attese le procedure di ratifica da parte dei 27, delle istituzioni Ue e, soprattutto del Parlamento britannico, dove i numeri non sono affatto scontati. Vota sull’accordo finale anche l’Europarlamento. Dalla mezzanotte dello stesso giorno scatterà la Brexit, e verrà dato il via al periodo transitorio di 21 mesi dove Londra continuerà ad applicare le regole Ue ma non avrà più potere decisionale, e si avviano i negoziati per gli accordi commerciali tra Gb e gli altri Paesi.
A seguire il 31 dicembre 2020 avverrà la fine del periodo transitorio (a meno che i negoziatori non chiedano altro tempo), e si concluderà l’applicazione del diritto Ue in Gran Bretagna.
Infine dal 1° gennaio 2021 la Gran Bretagna è a tutti gli effetti un Paese terzo.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *