Spazio – Webb, cinque meraviglie dell’universo che verrà

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Spazio – Eccole, dunque. Ecco le cinque immagini astronomiche più attese dell’anno. Le prime cinque “a colori” prodotte dal telescopio spaziale James Webb, che può così dire finalmente conclusa la lunga campagna di viaggio, allineamento e commissioning iniziata il 25 dicembre scorso, giorno del lancio, e dare ufficialmente il via alla missione scientifica.

Eccole, dicevamo. I soggetti ritratti non sono una sorpresa. In modo un po’ irrituale la Nasa aveva infatti deciso di anticiparne i nomi già la scorsa settimana. Come a sottolineare che l’aspetto rilevante non è cosa Webb è riuscito a vedere, ma come: a quale pazzesco livello di dettaglio e qualità. E il come lascia ammutoliti. Anche senza saperne alcunché, è sufficiente qualche confronto con le stesse “inquadrature” prodotte negli anni passati dal telescopio spaziale Hubble (su Twitter se ne trovano in quantità) per cogliere l’enormità del passo avanti compiuto. Un confronto che fa paura. E anche un po’ tenerezza, pensando a Hubble e a quanto abbiamo imparato e fantasticato perdendoci nelle sue meravigliose istantanee, che da oggi all’improvviso ci appariranno un po’ più sfocate.

Ma vediamole una a una, queste cinque immagini. Partendo dall’alto, abbiamo anzitutto una sontuosa panoramica sulla nebulosa della Carena, una fra le più grandi e luminose fabbriche di stelle, situata a circa 7600 anni luce da noi. Subito sotto, a ricordarci che lo scopo primario di Jwst non è tanto sfornare foto straordinarie quanto produrre scoperte scientifiche rivoluzionarie, ecco lo spettro dell’atmosfera del pianeta extrasolare Wasp-96b: scoperto nel 2014, si trova a circa 1150 anni luce dalla Terra, orbita attorno alla sua stella ogni 3,4 giorni, ha una massa pari alla metà di quella di Giove e da oggi sappiamo con certezza che nel suo cielo c’è vapor d’acqua. Segue un’altra “nebulosa”, ma di natura completamente diversa dalla Carena: è quella dell’Anello del sud (nota anche con la sigla Ngc 3132), ed è una cosiddetta nebulosa planetaria, ovvero una nuvola di gas in espansione che circonda una stella morente. Ha un diametro di quasi mezzo anno luce, si trova a circa duemila anni luce dalla Terra e qui la vediamo osservata con due diversi strumenti di Webb: a sinistra in vicino infrarosso con Nircam, a destra in medio infrarosso con Miri. In quarta posizione, a circa 290 milioni di anni luce di distanza da noi, in direzione della costellazione del Pegaso, una celebrity astronomica: il Quintetto di Stephan, noto per essere il primo gruppo compatto di galassie mai scoperto, nel 1877. La vista a raggi infrarossi di Webb ha consentito di sbirciare al di là del velo di polvere che avvolge una delle galassie. E infine, anticipata ieri notte direttamente dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dalla vicepresidente Kamala Harris, l’immagine più “profonda”: il fazzoletto di cielo Smacs 0723, sede di un ammasso di galassie che, agendo da lente gravitazionale, ci permette di vedere oggetti così distanti che la loro luce ha impiegato, per giungere fino a noi, 13 miliardi di anni.

«Le prime immagini realizzate dal James Webb Space Telescope», commenta il presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, Marco Tavani, «ci confermano le straordinarie potenzialità di questo strumento spaziale: nebulose, galassie, ammassi di galassie, che ci appaiono con un livello di dettaglio mai visto prima. Ma dopo lo stupore, inizia la fase per cui Webb è stato realizzato: fare scienza e aiutarci a conoscere meglio il nostro universo. L’Istituto nazionale di astrofisica è fortemente coinvolto negli aspetti scientifici di questa missione. I ricercatori e le ricercatrici dell’Inaf coordinano sette programmi tra quelli che utilizzeranno i primissimi dati raccolti dal Jwst durante il primo anno di osservazioni. Altre ne seguiranno. Attualmente, l’Italia è presente in oltre 40 programmi scientifici e ha a disposizione oltre 1500 ore di tempo osservativo sull’avveniristico osservatorio spaziale. In particolare, l’Inaf con il telescopio spaziale Webb studierà le nane brune – corpi celesti a metà tra pianeti e stelle –, la nascita di stelle in ambienti estremi, l’origine dei potenti getti di materia durante la formazione stellare, come si formano le galassie più massicce dell’universo, il ruolo dei buchi neri supermassicci nell’evoluzione galattica e la prima, elusiva generazione di stelle del cosmo. La nostra comunità è orgogliosa di essere parte attiva in questa straordinaria missione».

«Le immagini mostrate oggi», aggiunge Adriano Fontana, responsabile della divisione nazionale abilitante dell’astronomia ottica ed infrarossa dell’Inaf, «non sono (ancora) scoperte scientifiche, ma l’inizio di un viaggio. Sono volutamente prive di analisi scientifica: questo è solo l’antipasto che non vuole rovinare l’appetito degli scienziati che stanno aspettando i loro dati, che James Webb ha già iniziato a prendere. Tuttavia la sola potenza di queste immagini e spettri dimostra che è valsa la pena».




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