Il Solstizio d’inverno il 21 dicembre alle 10.02

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Solstizio – Il Solstizio d’inverno è giunto il 21 dicembre alle ore 10 e 02 minuti. con una congiunzione tra Giove e Saturno che dopo il tramonto sono apparsi così vicini uno all’altro da sembrare un unico astro. Uno spettacolo che non si vedeva dai tempi di Galileo.


Ma andiamo a scoprire tutto quello che c’è da sapere sul giorno più corto dell’anno, che segna l’inizio dell’inverno, ma anche la rinascita del sole. E le feste legate a questo passaggio in tutto il mondo.
Il solstizio d’inverno è il giorno più corto dell’anno per tutti i luoghi dell’emisfero boreale e il più lungo per quelli dell’emisfero australe. Il 21 dicembre a Roma, si sono regiastrati 9 ore e 7 minuti di luce, a Milano 8 ore e 46 minuti.
Altri esempi? A Reggio Calabria in questi giorni ci sono 9 ore e mezzo di luce, ed a Siracusa, situata in uno dei punti più meridionali d’Italia, la durata del giorno è di quasi 9 ore e 40 minuti, un’ora in più che a Bolzano.
Il solstizio di dicembre segna il passaggio dall’autunno all’inverno e coincide con il giorno in cui il sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, il punto di declinazione massima o minima.


È il momento culminante della Notte Polare vicino all’Artico, ma è anche il limite oltre il quale le giornate tornano ad allungarsi. Per questo nella Storia ha sempre rappresentato la vittoria della luce sulle tenebre,
Nell’antica Roma i Saturnali si celebravano ogni anno, dal 17 al 23 dicembre, in onore di Saturno, il dio dell’età dell’oro, quando gli uomini vivevano felici, nell’abbondanza e uguaglianza. C’era l’usanza di scambiarsi auguri e doni.
Poi, l’imperatore Aureliano istituì il culto del Sol Invictus, del Sole invincibile, nel giorno del 25 dicembre: una festa che si è intrecciata con il Natale del Cristianesimo.
Nella tradizione germanica e celtica il solstizio d’inverno coincideva con la festa di Yule: venivano accesi fuochi, si banchettava. Il vischio come simbolo del Natale sembrerebbe inoltre derivare da Yule. Ma anche in India, Cina e Giappone, come in Iran, nel mese di dicembre si celebrano tutt’ora feste legate al solstizio d’inverno.
A Nabta Playa vi è un circolo calendariale, dove due monoliti hanno allineamento Nord-Est in direzione del sorgere del sole il 21 giugno e risulta essere più antico di Stonehenge di almeno mille anni,


Tracce di culti solari s’incontrano in tutto il mondo, dalla Polinesia all’Africa alle Americhe e giungono fino ai nostri giorni: per gli eschimesi il sole è la vita mentre la luna la morte, in Indonesia il sole s’identifica con un uccello e con il potere del volo, tra le popolazioni africane primitive la pioggia è il seme fecondatore del dio Amma, il sole, creatore della terra.
Per gli Inca, la cui massima fioritura si ha intorno al XV secolo, la divinità Inti è il sole, sovrano della terra, figlio di Viracocha, il creatore, e padre della sua personificazione umana, l’imperatore. Attorno a Cusco, capitale dell’impero, sorgono i Mojones, torri usate come “mire” per stabilire i giorni degli equinozi e dei solstizi. A Machu Picchu, luogo sacro degli Inca, si può ancora vedere il Torreon, una pietra semicircolare incisa per osservazioni astronomiche, e l’”Intihuatana”, un orologio solare ricavato nella roccia. Per i Maya il sole è il supremo regolatore delle attività umane, sulla base di un calendario nel quale confluiscono credenze religiose e osservazioni astronomiche per quell’epoca notevolmente precise.


Tra gli indiani d’America il sole è simbolo della potenza e della provvidenza divine. Presso gli Aztechi è assimilato a un giovane guerriero che muore ogni sera e ogni mattina risorge, sconfiggendo la luna e le stelle: per nutrirlo il popolo azteco gli offriva in sacrificio vittime umane. Leggende analoghe, anche se fortunatamente meno feroci, si trovano ancora tra le popolazioni primitive nostre contemporanee. Gli stessi Inuit (eschimesi) ritenevano fino a poco tempo fa che il sole, durante la notte, rotolasse sotto l’orizzonte verso nord e di qui diffondesse la pallida luce delle aurore boreali: convinzione ingenua, ma non del tutto errata, visto che è stato studiato come le aurore polari siano proprio causate da sciami di particelle nucleari proiettate nello spazio ad altissima energia dalle regioni di attività solare. Tutto il culto degli antichi Egizi è dominato dal sole, chiamato Horus o Kheper al mattino quando si leva, Ra quando è nel fulgore del mezzogiorno e Atum quando tramonta. Eliopoli, la città del Sole, era il luogo sacro all’astro del giorno, il tempio di Abu Simbel, fatto costruire da Ramses II nel XIII secolo a.C., era dedicato al culto del Sole.
Secondo la cosmologia egizia il Nilo era il tratto meridionale di un grande fiume che circondava la Terra e che, verso nord, scorreva nella valle di Dait, che raffigurava la notte; su esso viaggiava un’imbarcazione che trasportava il Sole (raffigurato come un disco di fuoco e impersonato nella figura del dio Ra) che nasceva ogni mattino, aveva il culmine a mezzogiorno e al tramonto viaggiava su un’altra imbarcazione che lo riportava a est.
Si devono agli Egizi alcune delle prime precise osservazioni astronomiche solari, in base alle quali i sacerdoti del faraone prevedevano le piene del Nilo e programmavano i lavori agricoli. Le piramidi sono disposte secondo orientamenti astronomici, stellari e solari. Gli obelischi erano essenzialmente degli gnomoni, che con la loro ombra scandivano le ore e le stagioni. Gli orologi solari erano ben noti e ne esistevano diversi tipi, alcuni dei quali portatili, a forma di T o di L, chiamati merket: il faraone Thutmosis III, vissuto dal 1501 al 1448 a.C., viaggiava sempre con la sua piccola meridiana, come noi con il nostro orologio da polso.
La prima comparsa di Sirio, la stella più luminosa del cielo, all’alba, in estate, era per gli Egizi il punto di riferimento fondamentale del calendario. Il loro anno era di 365 giorni esatti, ma sapevano già che in realtà la sua durata è maggiore di circa sei ore, per cui avevano calcolato che nel corso di 1460 anni la data delle inondazioni del Nilo faceva una completa rotazione del calendario.
Sulla verticale di ogni punto tra le latitudini 23° 26’ 14,44’’ Nord (tropico del Cancro) e Sud (tropico del Capricorno) il Sole raggiunge lo zenit due volte l’anno: ciò significa che su ogni luogo tra i due tropici, due giorni all’anno, il Sole è a perpendicolo al mezzogiorno locale; nel caso particolare in cui il Sole sia allo zenit all’equatore si parla di equinozio (in quanto i raggi solari giungono perpendicolari all’asse terrestre e la durata del periodo di luce è uguale a quella notturna). I punti sui tropici, altresì, sperimentano il sole al proprio zenit una sola volta l’anno, in corrispondenza dei solstizi (al tropico del Cancro per il solstizio di giugno, a quello del Capricorno per quello di dicembre).


Le latitudini comprese tra ciascun tropico e il relativo polo non hanno mai il Sole allo zenit. Nell’emisfero boreale, al mezzogiorno locale del solstizio di giugno il Sole raggiunge l’altezza massima possibile sull’orizzonte per quella latitudine, mentre in quello di dicembre raggiunge l’altezza minima.
Nell’emisfero australe invece, al mezzogiorno locale del solstizio di giugno il Sole raggiunge l’altezza minima possibile sull’orizzonte per quella latitudine, mentre in quello di dicembre raggiunge l’altezza massima.
Nelle località comprese tra i circoli polari e i poli, alternatamente nell’emisfero nord o in quello sud, durante il periodo in luce del relativo emisfero il Sole arriva a rimanere sopra l’orizzonte anche per più di 24 ore consecutive, fino a diversi mesi in prossimità dei poli: questo avviene nel periodo compreso tra l’equinozio di marzo e quello di settembre nell’emisfero boreale, e al contrario tra l’equinozio di settembre e quello di marzo nell’emisfero australe.
La durata del fenomeno varia in base alla latitudine: esattamente ai poli (90° di latitudine) il Sole non tramonta per metà dell’anno, a 80° (sia nord sia sud) per 140 giorni consecutivi, a 70° per 70 giorni.




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