Cinema – The Front Runner – Il vizio del potere nel ruolo del carismatico politico Gary Hart

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The Front Runner – Il candidato all’Oscar Hugh Jackman protagonista del thriller drammatico The Front Runner – Il vizio del potere nel ruolo del carismatico politico Gary Hart. Il film, diretto dal regista candidato all’Oscar Jason Reitman, segue l’ascesa e la caduta del senatore Hart, capace di catturare l’immaginazione dei giovani votanti e considerato il favorito tra i democratici alle elezioni del 1988. La sua campagna passa in secondo piano a causa della relazione extraconiugale che intrattiene con Donna Rice. Quando la vita privata si mescola con quella politica, il senatore Hart è costretto a rinunciare alla sua candidatura – un evento che ha un impatto durevole e profondo nella politica americana ma anche in quella mondiale. Jason Reitman dirige da una sceneggiatura di Matt Bai & Jay Carson & Jason Reitman, basata sul libro, “All the Truth Is Out: The Week Politics Went Tabloid” di Matt Bai. Tra i protagonisti di The Front Runner – Il vizio del potere, Hugh Jackman, Vera Farmiga, J.K. Simmons e Alfred Molina. La durata del film è di 1 ora e 53 minuti, quasi due ore di grande interesse storico e politico.

Nella primavera del 1987, nelle fila del partito Democratico emerse un chiaro ed innegabile favorito nella corsa alla candidatura presidenziale: il Senatore del Colorado Gary Hart – il cui brillante e carismatico idealismo, oltre al puro fattore passionale, sembrava seriamente destinato alla massima carica della Casa Bianca, per scrivere un nuovo capitolo della storia americana. In aprile, Hart aveva creato il vuoto tra i suoi avversari. Tre settimane più tardi, dopo una spettacolare caduta in disgrazia, era fuori per sempre dalla corsa alle presidenziali. The Front Runner – Il vizio del potere, di Jason Reitman esplora il momento della caduta improvvisa di Hart, come momento spartiacque della nazione. In questo singolare momento, il pubblico e il privato, politica e celebrità, giornalismo e gossip, nuove strutture di potere e vecchi squilibri di potere, ideali alti e difetti molto umani sembravano fondersi e combinarsi – disegnando un nuovo panorama tumultuoso con il quale tutti noi stiamo ancora facendo i conti. Nonostante il futuro di Hart andato a rotoli per colpa delle voci di un tradimento, The Front Runner – Il vizio del potere non chiede se ciò fosse vero o meno. Piuttosto offre una vista panoramica della miriade di reazioni indignate di quello che avrebbe significato per l’America. Con un ritmo da crime thriller, il film diventa una sorta di procedura politica, durante la quale una telecamera instancabilmente mobile quanto bilanciata, riprende l’impatto ad ampio raggio della supposta relazione extraconiugale di Hart, sui giovani idealisti dello staff della sua campagna, sul giornalismo e più in generale sulla società dell’epoca.

Tratto dal libro di Matt Bai, “All the Truth Is Out: The Week Politics Went Tabloid”, il film racconta gli ultimi giorni in cui la promettente carriera di Hart venne stravolta. Hart (Hugh Jackman) era convinto delle sue idee per riportare l’America alla grandezza e alla leadership mondiale, mentre la stampa annunciava a gran voce di voler rivelare il suo lato personale. Quando il Miami Herald riceve una soffiata anonima sulla presunta relazione extraconiugale di Hart, le cose diventano più che personali. Un appostamento notturno davanti la casa di Hart a Washington D.C., rivela la presenza di una giovane e sconosciuta donna. Hart, che ha sempre condannato la curiosità verso gli aspetti privati nella politica, continua imperterrito con il suo lavoro. I mezzi di informazione vanno in delirio quando si scopre che la donna risponde al nome di Donna Rice (Sara Paxton), una modella di Miami con cui Hart aveva folleggiato su una barca chiamata Monkey Business. Mentre il manager della campagna elettorale di Hart, Bill Dixon (J.K. Simmons) fatica a contenere i danni e la moglie di Hart, Lee (Vera Farmiga) è alle prese con le sue complicate reazioni, Hart prova a rimanere fuori dalla mischia, fin quando la stessa mischia finisce per inghiottirlo.

Il regista James Reitman ritiene che il film sia un’opportunità per fare cronaca, nel modo più dettagliato e aderente alla realtà possibile, in totale accordo con quello che stava succedendo in quel momento sociale elettrico – l’ultimo prima che internet cambiasse tutto, prima che le linee tra la politica, i media e l’intrattenimento sfocasse fino a non essere più distinta. Come in uno specchio del 2018, la storia riflette le origini dei nostri dubbi verso coloro per cui la verità ha un suo peso, il cui potere va protetto, le cui storie devono essere riportate e quali debolezze siamo disposti o non disposti ad accettare nei nostri leader. Reitman dice: “Quello è stato il momento in cui la terra sfuggiva velocemente sotto i piedi di chiunque e poi, il mondo divenne un luogo diverso. Nel 1987, andava in onda A Current Affair, il primo spettacolo di notizie di gossip, si cominciavano ad usare i camion con i satelliti per le trasmissioni video, la CNN dava ai suoi reporter telefoni satellitari per la prima volta, si impose la prima generazione di reporter cresciuti con il mito di Woodward e Bernstein e c’erano nuove forze femminili che avrebbero cambiato il mondo del lavoro. Tutte queste cose stavano succedendo nello stesso momento e tutte insieme, crearono le condizioni che sfuggirono all’attenzione di Hart”. Continua: “Quello era anche il momento che stiamo vivendo ancora oggi – quello in cui ci poniamo grandi domande su cosa i media debbano focalizzare la loro attenzione, su quale sia il comportamento corretto delle persone di potere, di cosa succede quando si è una ‘talpa’ e di quale sia il nostro diritto di conoscere le vite private di altri”. Reitman è stato spinto a raccontare questa storia in modo vibrante e cinematografico, che potesse collegare il passato al presente senza per questo dover esprimere un giudizio al riguardo. La forma del film è diventata parte della sua funzione, grazie al particolare uso di punti di vista multipli, di iperrealismo e l’accavallarsi delle conversazioni ad amplificare il tema centrale. “Volevo che lo stile del film chiedesse costantemente al pubblico di decidere cosa fosse più importante da tenere in considerazione – spiega – Il punto non è dire che non dovremmo mai parlare delle debolezze personali dei politici, quanto piuttosto domandarsi: di cos’è che non stiamo parlando quando quanto successo viene discusso ovunque? Quali sono le domande che non facciamo? C’è così tanta carne al fuoco che il film offre regolarmente allo spettatore la scelta: vuoi vedere il lato a o il lato b? Il film riesce a farlo fino all’ultima scena, quando ci si chiede: dove vuoi posare lo sguardo? Cos’è più importante per questi personaggi e anche per te, o forse sono la stessa cosa?”

A volte etichettato come ‘Il Grande Presidente Americano Che Non È Mai Stato’, il suo vero nome completo era Gary Warren Hartpence nato a Ottawa, Kansas. Dopo la laurea in giurisprudenza alla Yale, ha iniziato il praticantato a Denver, attratto dallo sconfinato West e da quello che chiamava “il futuro dell’America”. In possesso, secondo tutti, di una mente politicamente acuta, a poco a poco Hart divenne una stella nascente del Partito Democratico. Curò la campagna alle presidenziali di George McGovern nel 1972. Poi, gli venne affidato un seggio al Senato, dove si distinse prendendo parte al famoso Church Committee, che aveva il chiaro intento di riformare CIA, FBI, NSA e IRS, terminando con un’inchiesta sull’incidente nucleare accaduto nella Three Mile Island. Dopo una propedeutica corsa alla carica di Presidente nel 1984, all’età di 46 anni, iniziò ad essere considerato un personaggio scomodo, ma il suo nuovo tentativo nel 1988 sembrava alquanto inviolabile. Era un nuovo tipo di candidato, non cresciuto nella cauta America della Depressione ma nel segno del cambiamento sociale, della volontà dell’integrazione e del pensiero libero tipico degli anni ‘60. Abbracciando l’etica del Nuovo Ovest, il fascino della tecnologia, la cura dell’ambiente e lo spirito classico pionieristico, Hart annunciò la sua candidatura sulle colline del Red Rocks Park in Colorado. Sprigionando un fascino enorme. Hart era amico intimo della leggenda di Hollywood, Warren Beatty e in lui si evinceva lo stile casual dei cowboy che avrebbero influenzato anche il suo stile presidenziale. Soprattutto, Hart parlava alle folle come se la virtù, la dignità e la compassione potessero ancora essere i caposaldi dei valori americani, nonostante sembrasse che la nazione ostacolasse il progresso tecnologico e sociale, ritenendoli terreni minacciosi. L’altra faccia della medaglia del fascino di Hart, erano i sospetti di infedeltà coniugale che si aggiravano attorno al suo nome, sebbene all’epoca si riteneva che certi segreti dovessero essere protetti. Dopo tutto, per parte della storia della politica americana, ai presidenti U.S.A. veniva lasciata ampia libertà di movimento in materia di sesso, salute, matrimonio e famiglia. E per decenni, questi uomini potenti hanno pensato che i loro sollazzi extramatrimoniali sarebbero stati protetti da occhi indiscreti, così come era da sempre. Ad ogni modo, tutto questo iniziò a vacillare quando si iniziò a parlare dello scandalo Watergate. Costretta dalla richiesta del pubblico a saperne di più sulle motivazioni degli uomini di potere, la stampa inizia a prendere in esame alcune figure pubbliche– in particolare i politici – con maggiore minuziosità. Allo stesso tempo, l’avvento delle televisioni via cavo e l’esplosione dei programmi di informazione 24/7, alimentarono un crescente appetito verso notizie sempre più scandalose. Nel libro, All The Truth Is Out, Matt Bai – ex capo corrispondente politico del New York Times Magazine e attualmente editorialista di politica nazionale a Yahoo News – definì quella di Hart, ‘una storia del momento quando i mondi del servizio pubblico e i tabloid, che già orbitavano sempre più vicini l’uno all’altro, finalmente collisero, e dell’uomo che si ritrovò inevitabilmente intrappolato in quella collisione’. Grazie alla vicinanza a Hart e a molti dei suoi collaboratori, Bai è riuscito a raccontare una storia avvincente come nessuno aveva mai sentito prima: dalla prospettiva del mondo che lo aveva presagito. Bai capì che, quando la storia di Hart stava per finire nel dimenticatoio, era il momento più giusto per riportarla alla luce, specialmente perché lo scandalo sembrava voler fuggire dal contenuto giornaliero. Questa fu la sua più grande motivazione nello scrivere il libro. “La candidatura di Hart è ormai dimenticata – dice – Ma la storia che ho sentito il bisogno di raccontare – che è poi quella del film- è quella in cui è iniziato il percorso in discesa che ha portato il mondo dei politici a quello che stiamo vivendo oggigiorno”. Continua: “I candidati di oggi devono intrattenere, necessitano di alcune abilità ad evitare gli scandali, devono essere assolutamente disonesti per navigare le acque agitate del giornalismo. Ho scritto il libro perché credo che molti di noi ritengano sia il momento di fermare tutto e domandarci cosa stia provocando la distorsione del processo al nostro mondo”.

Nel 2016 Bai e Carson erano ancora alle prime fasi della scrittura, quando Bai fu ospite
dell’innovativo programma di podcast della WNYC, Radiolab, per parlare della campagna
elettorale del 1988. All’insaputa di Bai, uno degli ascoltatori era Jason Reitman, ascoltatore fedele
del programma. Reitman era entusiasta. E ricorda, “In realtà non sapevo neanche chi fosse Gary
Hart, perché quando si candidò per le presidenziali avevo appena 10 anni, ma quando ho sentito
questa storia ho immediatamente riconosciuto le basi che ci hanno portato al momento che stiamo
vivendo ora. Ho comprato subito il libro, l’ho amato e ho amato i suoi dettagli che mi hanno dato la
sensazione di poter essere tradotto in un film. Questo mi è successo poche volte nella vita ed ero
pronto a farne parte”.
Reitman è famoso per essersi cimentato con il tessuto più interno della vita moderna in modo
energico e divertente, come nella satira sulle lobby del tabacco in Thank You For Smoking,
sovvertendo tutte le aspettative sulla gravidanza giovanile con il dramma candidato all’Oscar®,
Juno, e scavando nei costi umani del limbo economico e dei licenziamenti in, Tra le nuvole
(nominato a sei Oscar®). Tuttavia, The Front Runner – Il vizio del potere rimane per molti versi, il
suo lavoro più tematico e certamente più ambizioso, di quelli fatti finora, il che faceva parte del
fascino. Incontrare Bai e Carson, era nel suo destino. Non solo instaurarono un rapporto naturale,
ma Reitman ha suggerito idee che avrebbero cambiato l’intero tenore della sceneggiatura.
La prima cosa che fece Reitman, fu invitare Bai e Carson a guardare il film del 1972 di Michael
Ritchie, Il Candidato, spesso considerato l’antesignano, con i suoi quaranta anni dall’uscita al
cinema, di come debbano essere venduti i candidati politici. Con Robert Redford nel ruolo di un
ambizioso avvocato che accetta compromessi, una volta impensabili, sulla strada per diventare
senatore della California, il film è adorato per il suo frenetico e simulato realismo e il cinismo di
come le promesse concrete possano essere trasformate in immagini di facciata.
“Ho detto a Matt e Jay, ‘questo è come dovrebbe sembrare il nostro film’ – ricorda Reitman – Ho
detto, creiamo un mondo iper-reale e facciamolo nel modo in cui si farebbe un film fantasy sulla
costruzione del mondo, con quel tipo di apprezzamento intenso per i dettagli e la struttura
immersiva. Con questo abbiamo dato il via ad un percorso in cui nel film c’è una spiegazione per
ogni dettaglio, persino quale liquore sta bevendo ogni singolo personaggio”.
Bai e Carson erano già grandi fan di Reitman, ma ora lo vedevano come una scossa di creatività
illuminante. “Jason ha capito immediatamente come focalizzarsi su quello che stavamo facendo –
ricorda Bai – In precedenza ci ernao stati dati dei consigli di rendere la storia più di fantasia, ma poi
è arrivato Jason cha ha detto, ‘questo è un momento importante della politica americana e noi
dobbiamo raccontare la storia vera’. Non riesco a dirvi quanto sia stato gratificante sentire quelle
parole. Era chiaro che aveva colto nel segno e da quel momento è nata una collaborazione
incredibile”. Carson aggiunge, “Jason ci ha dato il coraggio di spogliare la sceneggiatura dalle
concezioni Hollywoodiane. Ci ha spinti a muoverci tra i tre regni centrali della storia: la campagna
elettorale, la stampa e la famiglia di Hart. Era come il capitano di una nave in mezzo alla tempesta
che diceva fidatevi di me, faremo la storia vera e funzionerà. E aveva ragione”.
Bai e Carson avevano già sviluppato il proprio metodo di scrittura – uno iniziava a scrivere per un
po’ e poi passava la palla all’altro, che iniziava a leggerlo dalla prima pagina, eventualmente
correggendo prima di scrivere nuove pagine della storia. In questo modo il racconto rimaneva
consistente anche integrando le idee di entrambi. Anche Reitman era coinvolto nello stesso flusso
di idee. “Funzionava”, dice Bai, “perché ognuno di noi sentiva di avere messo del suo nella
scrittura e nessuno di noi riusciva più a riconoscere di chi fosse la parte scritta”.
Un’altra idea fondamentale sostenuta da Reitman sin dall’inizio, era di evitare la prima persona, il
punto di vista singolare. Piuttosto che far raccontare la storia a Hart o a Donna Rice, Reitman ha
pensato: perché non sostituire il narratore centrale con una vista panoramica e neutrale che offrisse
la ricca gamma di ognuno dei personaggi, una voce che non assegnasse il ruolo di eroe o cattivo?
Bai e Carson lo hanno trovato liberatorio. “Adesso il racconto ha iniziato a diventare complesso nel
modo in cui la realtà stessa è complessa – dice Bai – Questo incoraggia il pubblico a decidere da sé
chi avesse ragione e chi no e come sarebbe andata a finire”.
Il trio ha anche condiviso un acuto senso dell’ironia che ha mantenuto la sceneggiatura leggera
anche nei momenti più spinosi. Anche questo era lo specchio della realtà. “Lo staff delle campagne
elettorali e i giornalisti sono le persone più divertenti, con la lingua tagliente e con spirito di
osservazione che abbia mai conosciuto – nota Carson – Durante tutte le campagne a cui ho lavorato
ho riso come un pazzo. E per Jason questo aspetto è diventato il più importante, cioè usare il
linguaggio e le espressioni reali che si possono sentire nelle stanze usate durante le campagne
elettorali”.
Strada facendo, Reitman ha conosciuto numerosi personaggi reali ritratti nel film, tra cui Gary
Hart, sua figlia Andrea, Donna Rice e molti dello staff della campagna del 1987. Ancora più
importante, ha fatto avere ad ognuno di loro un questionario che ha contribuito ad arricchire le
specifiche di ogni personaggio. “Ho chiesto ad ognuno di loro di descrivere un giorno normale
della loro vita nel 1987 e domande del tipo: quale era il suo hobby? Per quale squadra tifava? Cosa
beveva di solito e quali erano i suoi snack preferiti? Quale foto aveva sulla scrivania? Tutte queste
cose le abbiamo poi trasferite nel film”.
Così come Reitman, anche Bai e Carson ricercavano la realtà, ma ci sono cose rimaste sconosciute.
“Ci sono dei momenti in cui non sapevamo cosa si fosse detto dietro le porte chiuse, quindi
abbiamo dovuto forzatamente usare l’immaginazione”, spiega Carson.
Altro elemento fondamentale per loro è stato dare voce alle donne del film, soprattuto perché
storicamente le loro voci in queste situazioni sono sempre state soffocate. Reitman dice: “Ai fini
della storia, abbiamo ritenuto importante avere cinque diversi personaggi femminili: Donna Rice,
Lee Hart, Andrea Hart, Irene Kelly e Ann Devroy del The Washington Post – e ognuna di loro
prende parte alla storia secondo diversi punti di vista”.
Bai ha avuto modo di conoscere la Rice mentre faceva ricerche per il suo libro. “Molto spesso, in
queste situazioni le donne vengono messa da parte o male interpretate. Ma Donna è una persona
molto più complessa di quanto venne descritta all’epoca, e noi volevamo assicurarci che questo
finisse nella sceneggiatura. Bisogna tenere a mente che nel 1987 per lei non esisteva uno schema –
nessuno della politica americana aveva mai vissuto un’esperienza analoga prima di allora. Quindi
per noi era vitale raccontare la sua storia con compassione e complessità, far trasparire la sua
dignità”, dice Bai.
Carson riflette “Volevamo davvero porre la domanda: ‘Come sarebbe essere nei panni di Donna nel
momento attuale?’ Penso che non si possa fare a meno di provare simpatia per lei, poiché si vede
una giovane donna sbranata dalle mascelle dei media in modo incredibilmente distruttivo per il suo
essere”.
Quando si è trattato di descrivere Lee Hart, Carson ha avuto altre esperienze personali da suggerire.
“La mia esperienza politica più formativa è stata accanto alla moglie di un politico accusato di
infedeltà coniugale – e quella donna altri non era che la candidata Hillary Clinton. Quindi ero a
conoscenza del lato umano doloroso di qualcuno in quella posizione e di cui il mondo è ignaro”.
Infine, senza nessun personaggio predominante, l’interpretazione di ogni attore è stato parte di un
mosaico che ha esaltato la somma delle loro parti. “Quella era la visione chiara di Jason per il
film”, conclude Bai.
L’approccio sfaccettato della sceneggiatura – e il suo mix di ironia cruda e umanità senza fronzoli –
ha innescato l’impegno dei due produttori che lo hanno visto come un passo emozionante per
Reitman: Helen Estabrook, che lavora con Reitman alla Right of Way Productions e che ha
prodotto il film premio Oscar® Whiplash; e Aaron L. Gilbert, il cui BRON Studios è specializzato
nel raccontare storie audaci e che ha già lavorato con Reitman in Tully.
Entrambi hanno compreso i rischi. Girare il film sarebbe stato difficile, con la sua enfasi sulle
conversazioni improvvisate e l’azione parallela, i continui e imprevedibili movimenti di macchina e
l’insistenza nel non voler giudicare i personaggi i quali, senza accorgersene al momento, stanno
cambiando la traiettoria dell’America e le loro vite stesse con le loro decisioni. Ma hanno anche
capito che Reitman era in totale controllo.
“Ho avuto implicitamente fiducia in Jason. Per me è sia un amico che un grande partner creativo –
dice Gilbert – Perciò quando mi ha spiegato cosa voleva fare con questa storia, la mia risposta
onesta è stata di andare avanti. Quello che mi è piaciuto di più della sceneggiatura, è che la
relazione extraconiugale è secondaria rispetto alla storia principale. Non sappiamo neanche se la
relazione sia mai esistita e la sceneggiatura non lo spiega. Al contrario, è un cambio radicale nel
tenore della politica e nel modo in cui i mezzi di informazione lo hanno seguito, e questo ci ha
letteralmente rapito”.
Estabrook nota che è difficile guardare alle vorticose tematiche del film senza tenere in conto di
dove ci troviamo oggi nel 2018. “La storia ricorda per molti versi la nostra società che stiamo
appena iniziando a comprendere, dalle complessità su come rapportarci con le figure politiche, fino
al grado con cui la nostra società è abituata a proteggere gli uomini al potere – dice lei – Parla di
quali sono le nostre responsabilità gli uni verso gli altri, sia che si tratti di cittadini privati o figure
pubbliche. Penso che Jason sia stato profondamente ispirato dall’opportunità di lavorare secondo i
canoni cinematografici classici degli anni ’70, quanto di quelli attuali”.
Con decine di personaggi con le battute e gli ordini del giorno per 20 o più personaggi sul set ogni
giorno, bisognava mettere insieme non soltanto un gruppo di lavoro, ma che questo fosse anche
coeso. Il casting è iniziato non appena il progetto ha avuto il via libera. “Siamo riusciti a mettere
insieme un fenomenale gruppo di attori iper intelligenti, ognuno con una esperienza diversa alle
spalle, che insieme hanno formato un coro di voci straordinario”, dice Estabrook. Gilbert aggiunge,
“Ho sempre ritenuto che il lavoro di casting di Jason fosse una delle sue caratteristiche migliori,
perché ha un istinto fenomenale. Ci siamo affidati a persone di conoscenza di Helen, persone che
conoscevo io, persone con cui Jason aveva lavorato in precedenza e quelle con cui desiderava
lavorare. Ognuno di loro ha accettato sostenendo che la sceneggiatura era davvero forte”.
Una volta sul set, consapevoli che la fiducia sarebbe stata fondamentale perché il cast si sentisse a
proprio agio, Reitman si è dato da fare per forgiare un ambiente ineffabile che cementasse il
legame del cast. Ha poi iniziato ogni giorno di riprese distribuendo ritagli di giornale che
riportavano fatti risalenti al 1987 – non solo eventi di politica ma anche sportivi, sociali e culturali –
così da preparare le conversazioni che si sarebbero tenute durante le riprese.
“Il risultato di tutto questo è stato che è accaduto qualcosa di magico – dice Bai – Quando tutti quei
giovani attori hanno cominciato a frequentarsi parlando del 1987, hanno sviluppato un rapporto
naturale e bellissimo. Hanno iniziato a fare battute a sfondo sessuale legate al periodo, ed è emersa
una profondità tale che non ci aspettavamo”.
“Sapete, ecco perché la gente non vuole occupare ruoli pubblici. Perché prima o poi qualcuno
tirerà fuori quello che avete detto 15 anni fa e si comporteranno come se la vostra vita si sia
fermata a quel giorno”. – Hart
Il dubbio su chi avrebbe dovuto interpretare Hart – il suo fuoco e le sue abilità ma anche la sua
complessità e la sua risservatezza – ha trovato una risposta immediata. Reitman era convinto che ci
fosse una persona che potesse essere discreto ma significativo. Certamente Hugh Jackman non è
stata la scelta più ovvia. Anche se aveva vinto il premio Emmy, Tony e Golden Globe, oltre che
candidato all’Oscar®, era anche un attore australiano conosciuto più per la serie action Wolverine e
le sue qualità di cantante e ballerino a teatro e in film come, Les Miserables e The Greatest
Showman. Sebben abbia già recitato in ruoli drammatici, questo sarebbe stato qualcosa di
veramente diverso da quanto Jackman abbia mai fatto in precedenza.
Ciò che ha convinto Reitman, è stata l’etica del lavoro di Jackman e la sua intelligenza,
casualmente due delle qualità salienti di Hart. “Hugh è famoso per essere un gran lavoratore e
questa cosa mi ha intrigato – dice il regista – Voglio farvi un esempio. Un giorno, ho visto Hugh
camminare mentre leggeva uno spesso fascicolo pieno di informazioni riguardanti Hart. Gli ho
chiesto ‘pensi di leggerlo tutto?’ e lui ha risposto, ‘oh, in realtà ho già finito di leggerlo, è questo è
solo il primo di cinque libri’. Quello era il suo livello di impegno. Hugh recitava discorsi di Hart
che non facevano parte del film. Hugh ha scoperto così tante cose su Gary Hart che alla fine le ha
insegnate anche a me. Una volta mi disse, ‘Non mi piace sentirmi come se avessi potuto fare
meglio di quanto fatto’ e questo la dice lunga sullo Hugh Jackman attore e anche sull’uomo. Questo
è anche il motivo per cui spinge la gente che lo circonda a lavorare seriamente”.
Reitman rimase anche colpito dall’idea di vedere Jackman muoversi in territori sconosciuti. “Non
ho mai visto Hugh interpretare un enigma – dice – L’ho visto interpretare persone eroiche, distrutte,
ambiziosi o di talento, ma non l’ho mai visto interpretare questo genere di uomo intelligente e
carismatico, che non si apre agli altri molto facilmente. Sapevo che per lui questa sarebbe stata una
sfida emozionante, avere la sua vita privata coperta da un velo. Quello che mi piace è che lo
spettatore non è proprio sicuro di come sentirsi verso Hart, e questo è esattamente ciò che io e
Hugh volevamo”.
Nonostante sia cresciuto in Australia, Jackman conosceva qualcosa di Hart. Ma più ne veniva a
conoscenza, più si rendeva conto della grandezza del ruolo. “Ho un vago ricordo dello scandalo –
dice Jackman – Ma quello che non sapevo è stato ciò che ha scatenato, quanto aveva da offrire e
quanto quel periodo significò per il futuro della politica e dei mezzi di informazione americani. Ho
sentito che la sceneggiatura ha gettato una luce chiara su un punto di svolta della storia. Non è certo
famoso come l’assassinio di JFK o il Movimento dei Diritti Civili o Watergate, ma adesso si può
discutere di come quel momento fosse, a suo modo, uno snodo significativo”.
Jackman si è interessato discretamente a qualcosa di Hart – il modo in cui la sua forza e il suo
tallone di Achille erano intrecciati, il modo in cui la sua concentrazione sul quadro generale potesse
tenere fuori tutto il resto. Quello divenne una traiettoria ancora più forte dopo aver conosciuto di
persona Hart. “Gary viene ricordato per quel breve periodo della sua vita, invece di essere ricordato
per le cose che ha fatto – osserva Jackman – Quando lo conobbi, mi raccontò di alcuni suoi piani
per il futuro e io sono rimasto meravigliato oltre che profondamente consapevole dell’opportunità
che aveva perso – era uno degli uomini politici più dotati dei nostri tempi, e ciononostante non ha
mai realizzato il potenziale delle sue idee”.
Per Jackman, quello che Hart fece o non fece con Donna Rice durante la crociera a Bimini, non è
importante. “Credo che invece di domandarci ‘l’ha fatto o non l’ha fatto’, la domanda più
importante che dovremmo porci su Gary Hart sia: perché ci importa così tanto? Nel suo discorso
finale, Gary disse che che anche se alcune cose sono interessanti, questo non le rende importanti. E
penso che molte delle cose di cui si occupano i mezzi di informazione, siano più interessanti che
importanti, e questo ci spinge a perdere di vista ciò che davvero conta poiché non tanto eccitante”.
Certamente, ora che le persone sono abituate alle notizie scioccanti dei tabloid, le accuse di Hart
sembrano alquanto pittoresche. “L’ironia sta nel fatto che ora i candidati alle presidenziali sono
accusati di cose ben peggiori e riescono a sopravvivere, ma quando Hart era candidato, il nostro
appetito per le notizie stava iniziando a crescere – dice Jackman – Le persone stavano iniziando a
volerne sapere di più in modo sempre più immediato, breaking news sempre più veloci che questo
scandalo provvedeva a nutrire”.
Jackman ha immaginato Hart e le sue relazioni, in termini sia di responsibilità intrinsesca
nell’ispirare la gente, e l’angoscia di deludere quelle stesse persone. “Una delle cose che mi
piacciono di più in questa storia, è il fatto che non si occupa esclusivamente di cosa stava passando
Hart – dice Jackman – Guarda anche a quello che stava passando la sua famiglia, le ripercussioni su
Donna Rice e a cosa stava cambiando nel mondo del giornalismo”.
L’intensità della dedizione di Jackman, e il modo in cui scompare dentro al ruolo senza traccia, è
diventata un caposaldo per la produzione. “Hugh ha dato molto di suo al ruolo, che ne siamo
rimasti veramente commossi.
Sul set era un vero leader – dice Estabrook – Con la sua professionalità ha instillato delle vibrazioni
meravigliose al nostro grande gruppo di lavoro. Sembrava anche di un caso di vita che imita l’arte,
perché come lo staff di Hart seguiva Gary ovunque, anche il cast ha provato lo stesso nei confronti
di Hugh”.
Gilbert aggiunge: “Questo è un ruolo inusuale per un leader, perché a volte lo trovavi seduto dietro
le quinte come una controfigura. Questo la dice lunga sull’umiltà e sulla convinzione di Hugh,
messe in mostra in ciò che voleva fare Jason, così da venire assorbito nell’insieme. Sembrava
amasse l’esperienza che stavano costruendo”.
Jackman dà merito a Reitman di aver acceso la sua dedizione. “Lavorare con Jason è stata
l’esperienza più divertente ed appagante della mia vita professionale. Ha la straordinaria abilità di
darti la giusta dose di spazio che ti serve per recitare ed inventare. Di Jason mi è anche piaciuto il
fatto che capisce come raccontare una storia avvincente ricca di humor e stile visivo, profondi in
egual misura”.
L’energia viscerale del film è ciò su cui Jackman fa affidamento per trascinare le persone in una
storia che pone mille domande. “Il film è rapido e divertente, ma poi ci porta fino ad un bivio
incredibile e alla domanda su come abbiamo fatto ad arrivare fino a qui”, conlcude.
L’immersione di Jackman nella vita di Hart, ha reso euforici in special modo gli sceneggiatori. Bai
dice, “Hugh riesce a dire cose con la sua mimica facciale che non si possono tradurre in parole.
Hugh potrebbe candidarsi a qualsiasi elezione – Ho incontrato raramente politici con le sue abilità”.
Carson aggiunge, “Per riuscire a fare la parte di quello intelligente, devi essere intelligente e Hugh
è sia intelligente quanto curioso nei confronti del mondo. Ogni cosa che abbiamo scritto pensando
a lui, voleva saperne sempre di più per poi usufruirne durante la sua performance. Penso che con
questo ruolo, sia passato ad un livello superiore”.




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