SONO 5.306.548 GLI STRANIERI (REGOLARI) RESIDENTI IN ITALIA

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Migranti – Sono 5.306.548, rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel nostro Paese e contribuiscono al Pil nazionale con 139 miliardi di euro; 860mila bambini e ragazzi frequentano le scuole italiane. Sono il 10% del totale della popolazione scolastica, il 64,4% è nato il Italia ma non ha la cittadinanza.

Questa la fotografia degli stranieri residenti in Italia scattata dal Rapporto Immigrazione della Caritas e della Fondazione Migrantes presentato a Roma. “Conoscere per comprendere” il titolo dato all’edizione 2020 che contiene anche una prima analisi degli effetti dei cosiddetti “decreti sicurezza” ma anche del covid sull’occupazione e la salute della popolazione migrante in Italia.
La crescita dei movimenti migratori nel Mondo e in Europa non accenna a diminuire ( e questo continua ad essere un problema e lo è ancor più nell’era covid).
Nel 2019 il numero di migranti internazionali è aumentato attestandosi a circa 272 milioni, pari al 3,5% della popolazione mondiale.
In 50 anni il numero di immigrati nel mondo è quasi quadruplicato (era pari a 84 milioni nel 1970).
L’India rimane il paese con il maggior numero di emigrati all’estero (17,5 milioni), seguita da Messico e Cina (rispettivamente 11,8 milioni e 10,7 milioni).
Gli Stati Uniti, invece, sono il principale paese di destinazione con 50,7 milioni di immigrati internazionali, seguito dall’Arabia Saudita con 13,1 e dalla Russia con 11,9.
Di tutte le persone che si spostano a livello globale (272 mln), i migranti per motivi di lavoro sono stimati in un numero pari a 164 milioni.
Secondo il Global Trend Report (UNHCR) la popolazione di migranti forzati, invece, ammonta a 79,5 milioni di persone, di cui 45,7 milioni di sfollati interni, 26 milioni di rifugiati (la Siria rimane al primo posto con 6,6 milioni seguita dal Venezuela con 3,7 milioni), e 4,2 milioni di richiedenti asilo. Il numero di apolidi a livello globale ammonta a 4,2 milioni (la Costa D’Avorio è al primo posto, seguita dal Bangladesh, dal Myanmar e dalla Thailandia).
Nel 2019 oltre 82 milioni di migranti internazionali risiedevano in Europa, ovvero quasi il 10% in più rispetto al 2015 (75 milioni).
Oltre il 50% del totale dei migranti internazionali nella regione (42 milioni) è nato in Europa. I migranti non europei, invece, tra il 2015 e il 2019 sono aumentati da poco più di 35 milioni a circa 38 milioni.
La Germania, con oltre 13 milioni di migranti, si attesta come il Paese con il maggior numero di cittadini stranieri residenti (+3 milioni negli ultimi 4 anni). Seguono Regno Unito e Francia con, rispettivamente, 9,5 milioni e 8 milioni.
Con una popolazione che oscilla intorno ai 5 milioni di migranti, l’Italia e la Spagna sono state la quinta e la sesta destinazione in Europa nel 2019. La migrazione di persone dai Paesi dell’ex Unione Sovietica verso la Russia (Ucraina, Kazakistan e Uzbekistan) ha rappresentato il più grande corridoio europeo per i migranti.
L’incidenza più elevata sulla popolazione è invece registrata dalla Svizzera (29,9%), seguita da Svezia (20%), Austria (19,9%) e Belgio (17,2%).
Le ragioni familiari hanno rappresentato quasi il 28% dei 3,2 milioni di permessi di soggiorno rilasciati nell’UE, seguiti dai motivi di lavoro il 27%, di studio il 20%; altri motivi, compresa la protezione internazionale, hanno rappresentato il 24%.
Polonia (635 mila), Germania (544 mila) e Regno Unito (451 mila) sono i Paesi con il più elevato numero di primi permessi di soggiorno rilasciati nel 2018. Con riferimento alla cittadinanza di chi ha ricevuto più permessi nell’UE nel 2018, i cittadini ucraini sono quelli che hanno beneficiato di permessi di soggiorno principalmente per motivi di lavoro (65% di tutti i primi permessi di soggiorno rilasciati agli ucraini nel 2018), quelli cinesi per l’istruzione (67%), mentre i cittadini marocchini (61%) hanno beneficiato prevalentemente di permessi di soggiorno per motivi familiari.
Gli ultimi dati sulla situazione demografica italiana diffusi dall’Istat confermano le tendenze in atto da alcuni anni: progressiva diminuzione della popolazione residente (-189 mila unità), in particolare nelle regioni del Mezzogiorno; aumento del divario tra nascite e decessi; stagnazione della fecondità a livelli molto bassi; aumento dell’incidenza della popolazione anziana e diminuzione di quella giovane, con il relativo ulteriore innalzamento dell’età media; saldo migratorio con l’estero positivo, anche se in diminuzione; aumento della popolazione residente straniera, sia in termini assoluti che relativi.
Se fino a un decennio fa l’aumento della popolazione straniera seguiva un ritmo significativo, da qualche anno il trend è in diminuzione (dal 2018 al 2019 appena 47 mila residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più), accompagnato da altri segnali “negativi”, come la diminuzione delle nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019).
Stando ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi al 1° gennaio 2020 sono 3.438.707, il 61,2% dei quali è stato rilasciato nel Nord Italia, il 24,2% nel Centro, il 10,8% nel Sud e il 3,9% nelle Isole. I cinque Paesi di provenienza prevalenti fra i titolari di permesso di soggiorno sono, nell’ordine, Marocco (circa 400 mila cittadini), Albania (390 mila), Cina (289 mila), Ucraina (227 mila) e India, che con poco meno di 160 mila soggiornanti ha superato una nazionalità storica come le Filippine.
Considerando, invece, il dato complessivo sui cittadini stranieri residenti in Italia (compresi, dunque, i cittadini comunitari), che in base alle elaborazioni Istat al 1° gennaio 2020 ammontano a 5.306.548 (con un’incidenza media sulla popolazione italiana dell’8,8%), la maggior quota è rappresentata dai rumeni (1.207.919).
I motivi dei permessi di soggiorno confermano la tendenza all’inserimento stabile, in quanto, in relazione alla durata, la maggior parte dei permessi è a lunga scadenza (62,3% del totale); mentre quelli di breve durata si attestano sul 37,7%.
Stando ai motivi del soggiorno, si conferma la prevalenza di quelli familiari (pari al 48,6% del totale), seguiti da quelli lavorativi (41,6%). Terzi per volume i permessi collegati all’asilo e alla protezione internazionale (5,7%) e quarti quelli per studio (appena l’1,5%).
I dati del Ministero dell’Interno al 1° gennaio 2020 consentono anche un primo bilancio sulle nuove tipologie di permesso di soggiorno introdotte dal d.l. n. 113/2018 (c.d. decreto Salvini), convertito in legge n. 132/2018.
Si è trattato in totale di poco più di 28 mila permessi di soggiorno, che risultano per la quasi totalità di derivazione da tipologie già esistenti prima della riforma o che per effetto di questa hanno subito solamente un cambio di denominazione o di disciplina (ad es., permessi per motivi umanitari ridenominati in “casi speciali”), fatta eccezione per qualche unità di permessi per meriti di valore civile o per calamità naturale, che si sono rivelati dunque assolutamente non coincidenti con le aspettative, e le condizioni personali dei migranti nel nostro paese.
Lo scivolamento nell’irregolarità è dunque sempre in agguato. Diversi studi hanno fornito stime circa la consistenza della componente irregolare nel nostro paese, arrivando a parlare di oltre 650.000 persone.
I dati forniti in questa edizione del Rapporto sono quelli relativi ai primi esiti della procedura di regolarizzazione varata fra giugno e agosto 2020 e i dati sui provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale, che continuano a dimostrare di essere strumenti insufficienti e dispendiosi di gestione dell’irregolarità (sono state 41.000 le persone coinvolte), rivelando da oltre 10 anni un tasso di efficacia non superiore al 50% (è il 48,4% nel 2019).
Nell’approfondimento dedicato all’apporto economico dell’immigrazione si evidenzia che in Italia nel 2018 il contributo dei migranti al PIL è stato di 139 miliardi di euro, pari al 9% del totale.
I circa 2,3 milioni di contribuenti stranieri hanno dichiarato 27,4 miliardi di redditi, versando 13,9 miliardi di contributi e 3,5 miliardi di IRPEF. L’IVA pagata dai cittadini stranieri è stimata in 2,5 miliardi.
Si tratta di dati che confermano il potenziale economico dell’immigrazione che, pur richiedendo notevoli sforzi nella gestione, produce senza dubbio benefici molto superiori nel medio-lungo periodo. Anche i costi per la gestione delle emergenze, che sono aumentati dagli 840 milioni nel 2011 ai 4,4 miliardi nel 2017, possono essere ammortizzati nel tempo, soprattutto se sostenuti da politiche capaci di ridurre l’irregolarità, che oggi è stimata in 670 mila persone.
Pertanto, secondo i redattori del Rapporto, una regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri avrebbe garantito entrate superiori ai 3 miliardi di euro. Invece il provvedimento varato ha consentito la presentazione di 207.542 domande presentate; in particolare per lavoro domestico (85% del totale) e il resto per gli altri settori, quasi interamente rappresentati dall’agricoltura.
La regione nella quale sono state presentate il maggior numero di istanze è la Campania, con 6.962. Segue la Sicilia con 3.584 istanze, il Lazio con 3.419 e la Puglia con 2.871, ma anche il Veneto con un dato significativo di 2.756 domande e l’Emilia Romagna con 2.101.
In Italia sono 2.505.000 i lavoratori stranieri, che rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel nostro Paese.
Il tasso di occupazione straniera si attesta intorno al 60,1%, superiore al 58,8% degli autoctoni; parallelamente, il tasso di inattività degli stranieri extra-UE (30,2%), per quanto elevato, risulta comunque inferiore a quello italiano (34,9%).
L’87% degli occupati stranieri in Italia sono lavoratori dipendenti, concentrati soprattutto in alcuni settori: servizi collettivi e personali (642 mila addetti), industria (466 mila), alberghi e ristoranti (263 mila), commercio (260 mila) e costruzioni (235 mila).
In merito alle qualifiche prevalenti, nel 2019 si registra un elevato volume di rapporti attivati per braccianti agricoli (584.253 attivazioni), addetti all’assistenza personale (179.502), camerieri e professioni assimilate (158.645) e collaboratori domestici e professioni assimilate (111.562).
Quanto alle tipologie contrattuali, si attesta come preponderante il reclutamento con forme contrattuali temporanee.
Esse interessano circa i due terzi delle nuove assunzioni destinate ai cittadini stranieri, fra cui, oltre ai contratti di lavoro a tempo determinato, anche i tirocini e i rapporti di lavoro in somministrazione o stagionali; la retribuzione media annua nel 2019 dei lavoratori extracomunitari è inferiore del 35% a quella del complesso dei lavoratori (14.287 euro rispetto a 21.927 euro); la differenza di genere nell’accesso al mondo del lavoro è marcata e fa registrare tassi di inattività e di disoccupazione nettamente superiori per quanto riguarda la componente femminile; nel confronto con i dati del 2018, aumenta anche il tasso di lavoratori stranieri autonomi (+2,7%), in netta controtendenza rispetto agli italiani.
Cresce il numero di titolari di imprese nati fuori dall’UE (383.462), pari al 12,2% del totale, concentrati soprattutto nel settore commerciale (43,1% del totale) e dell’edilizia (21,1%); nel corso del 2019 gli infortuni verificatesi ai lavoratori stranieri sono stati 108.173 (il 16,9% del totale) e in due casi su tre hanno riguardato cittadini extracomunitari, per i quali c’è stato un aumento del +5% rispetto al 2018.
Le pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS) erogate dall’INPS a cittadini extracomunitari alla fine del 2019 sono state appena 65.926, pari allo 0,4% del totale delle pensioni INPS dello stesso tipo (16.840.762); le pensioni assistenziali erogate a cittadini extracomunitari sono state invece 100.898, pari all’2,5% del totale (4.030.438).
La presenza degli alunni stranieri si attesta come una componente sempre più fondamentale e consistente: nell’anno scolastico 2018-2019 la perdita di 100 mila studenti italiani (-1,3%) dovuta al calo della natalità è stata compensata da un aumento di studenti con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di quasi 16 mila presenze rispetto all’anno precedente (+1,9%) raggiungendo un totale di circa 860 mila unità ossia il 10% del totale della popolazione scolastica.
Ormai il 64,4% degli alunni stranieri è nato il Italia ma non ha la cittadinanza.
Nelle fasce di età 6-13 anni i sopracitati tassi sono vicini a quelli degli italiani, mentre nell’ultimo biennio di scuola secondaria di II grado scendono al 66,7%.
Circa l’esito dei percorsi scolastici, nell’a.s.2017/2018 gli studenti italiani in ritardo sono risultati il 9,6%, contro il 30,7% degli studenti con cittadinanza non italiana, che sono anche quelli a più alto rischio di abbandono, pari al 33,1%, a fronte di una media nazionale del 14,0%.
Guardando infine i dati sull’inserimento scolastico terziario emerge che si tratta prevalentemente di studenti già presenti sul territorio italiano. Aspetto, quest’ultimo, che mette in evidenza la scarsa attrattività del sistema universitario del nostro Paese.
L’impatto del Covid: dalla rete Scuole Migranti di Roma e del Lazio segnalano che, pur dotati di tablet – il Ministero ne ha fornito un numero notevole – i bambini stranieri non ricevono aiuto dai familiari per scarsa competenza informatica e difficoltà linguistiche.
Se il prossimo anno scolastico si svolgerà con un sistema misto di lezioni in presenza e a distanza, potrebbero allargarsi ancora di più le disuguaglianze tra alunni stranieri e italiani.
Secondo l’Istat nel 2019 gli individui di nazionalità non italiana in povertà assoluta sono quasi 1 milione e 400 mila, con una incidenza pari al 26,9%, contro il 5,9% dei cittadini italiani.
Le famiglie in povertà assoluta sono composte nel 69,6% dei casi da famiglie di soli italiani (1 milione e 164 mila) e per il restante 30,4% da famiglie con stranieri (circa 510 mila), pur rappresentando solo l’8,9% del totale delle famiglie.
L’incidenza di povertà assoluta è pari al 22,0% (25,1% nel 2018) per le famiglie con almeno uno straniero (24,4% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri) e al 4,9% per le famiglie di soli italiani.
Le famiglie in povertà con stranieri dove sono presenti minori mostrano valori pari al 27,0% (282 mila), quelle di soli stranieri sono invece il 31,2%, ossia un valore cinque volte superiore a quello delle famiglie di soli italiani con minori (6,3%).
Negli ultimi dieci anni, in Italia il numero di reati denunciati all’Autorità giudiziaria dalle Forze di polizia è diminuito del -9,8%: nel 2009 sono stati denunciati 2.629.831 delitti rispetto al 2018, quando erano stimati in 2.371.806.
Una diminuzione che prosegue dal 2003 e che investe tutte le fattispecie criminose. Si consolida il dato che vede la criminalità concentrarsi nelle grandi aree urbane, in particolare nella provincia di Milano (9,6% del totale nazionale), di Roma (9,5%) e di Napoli (5,6%).
Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 31 gennaio 2020, su una popolazione carceraria di 60.971 detenuti, risultano essere presenti 19.841 cittadini stranieri (erano 20.255 nel 2018).
Al 1° gennaio 2020 si stima che la maggioranza assoluta degli stranieri residenti in Italia sia di religione cristiana (54,1%), in aumento rispetto ad inizio 2019 (quando era il 53,6%), ma ancora ad un livello inferiore rispetto al 1° gennaio 2018 (57,5%). Nel loro complesso, nel 2019 i cristiani stranieri residenti in Italia sono aumentati di 97 mila unità (+3,4%), dopo la forte diminuzione (145 mila unità) dell’anno precedente, e si attestano ad oltre 2,9 milioni di fedeli e di potenziali fedeli, includendo nel conteggio anche i minori.
Fra gli immigrati cristiani la maggioranza assoluta è ortodossa (29,3%, pari a 1,6 milioni di fedeli, originari soprattutto di Romania, Ucraina e Moldova), mentre più di uno su tre è cattolico (20,1%, con quasi 1,1 milioni di persone, per lo più romeni, filippini, peruviani e albanesi). Proprio i cattolici, però, hanno fatto registrare la crescita maggiore nel 2019, con un aumento di 103 mila unità (+10,5%), superati soltanto – sebbene su livelli quantitativi assoluti minori – dai copti (in aumento di 3 mila unità, +16,7%); lieve la crescita degli ortodossi (+19 mila unità, pari al +1,2%), mentre sono diminuiti gli appartenenti ad altre fedi cristiane (in particolare gli evangelici, diminuiti del 9,1%, vale a dire quasi 17 mila fedeli in meno).
Gli stranieri musulmani residenti in Italia sono risultati stabili in numerosità durante il 2019 (-0,4%, vale a dire circa 6 mila unità in meno fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2019), dopo il forte aumento fatto riscontrare durante il 2018 (+8,7%, cioè +127 mila unità), mantenendosi poco al di sotto del valore di 1,6 milioni, pur senza considerare gli acquisiti alla cittadinanza italiana e i non iscritti in anagrafe (ma conteggiando i minorenni di qualsiasi età), sSi tratta per lo più di marocchini, albanesi e bangladeshi ma mancano i numeri inerenti agli irregolari che vagano per le strade dell’Italia.
Sul territorio nazionale si segnalano, infine, circa 174 mila stranieri buddisti (3,2% degli immigrati residenti in Italia), 96 mila induisti (1,8%), 51 mila sikh (1,0%) e 44 mila afferenti ad altre religioni (0,8%).
I cosiddetti atei e gli agnostici sono invece stimabili in circa 531 mila, pari a circa un decimo (9,9%) del totale degli stranieri residenti in Italia.
Le tradizioni religiose del Paese d’origine costituiscono da sempre un importante elemento di aggregazione e di rassicurazione identitaria, soprattutto in contesti sociali e culturali molto distanti da quelli nati.




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