Cinema – Film – Deepwater Horizon inferno sull'oceano

289

Cinema – Film – Deepwater Horizon inferno sull’oceano

Il 20 aprile 2010 sulla Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, si è verificato uno dei più gravi disastri mondiali causati dall’uomo. Questo film racconta una storia di vitale importanza che molti non hanno visto: la storia dei 126 lavoratori che si trovavano a bordo della Deepwater Horizon quel giorno, sorpresi nelle più strazianti circostanze immaginabili – uomini e donne altamente specializzati che riponevano in un faticoso turno le speranze di tornare dalle loro famiglie ed alle loro vite sulla terraferma. In un attimo, si sono trovati catapultati nel giorno più brutto della loro vita, spinti a trovare il coraggio per combattere contro un inarrestabile inferno di fuoco nel bel
mezzo dell’oceano e, quando tutto sembrava perduto, cercare di salvarsi l’un l’altro.
La piattaforma trivellatrice semisommergibile situata in acque profondissime al largo della costa della Louisiana – la Deepwater Horizon – ha attratto l’attenzione di tutto il mondo quando una devastante esplosione ha causato un incendio ed un pressoché inarrestabile sversamento di greggio sul fondo dell’oceano. Per 87 giorni milioni di persone sono rimaste incollate agli schermi televisivi, con il cuore in gola, mentre più di 50.000 barili di petrolio si riversavano sul fondo del Golfo del Messico, causando quello che sarebbe diventato il più grave disastro ambientale della storia. L’impatto sull’ecosistema marino e le domande su cosa andò storto e sul perché sono ancora
oggetto di discussione.
Deepwater – Inferno sull’oceano porta questa storia sullo schermo, con un sguardo avvincente ad un mondo sconosciuto dietro le quinte del disastro globale che ha causato 11 vittime. Il regista Peter Berg si trova nuovamente a collaborare con il candidato all’Oscar Mark Wahlberg condividendo una storia mai raccontata di uomini e donne, eroi della porta accanto, che hanno affrontato conseguenze straordinarie con estremo coraggio. In passato, il duo aveva trattato il tema ell’infelice missione dei Navy SEAL nel film candidato all’Oscar Lone Survivor e sta attualmente girando
Patriot’s Day, in cui si raccontano i drammatici eventi prima e dopo gli attentati alla Maratona di Boston. Nel film Mark Wahlberg è affiancato da un cast che conta figure di spicco come Kurt Russell, John Malkovich, Gina Rodriguez, Dylan O’Brien e Kate Hudson, non soltanto per coinvolgere il pubblico direttamente negli eventi, ma per porre l’accento sul dramma umano e
sugli atti di coraggio che si celano dietro di essi.
Wahlberg veste i panni del capo tecnico elettronico della Transocean, Mike Williams, un devoto padre di famiglia responsabile della supervisione dei computer e dei sistemi elettrici della piattaforma il 20 aprile, quando tutto andò storto. I lavoratori delle piattaforme petrolifere sono notoriamente tipi tosti e coraggiosi. Il lavoro è molto faticoso fisicamente e li sottopone a grandi pressioni – trovandosi alle prese con attrezzature complesse a circa 18 metri di altezza e in alto mare. Eppure, persino per Williams quello che accadde quel giorno fu inaspettato. Williams era consapevole che i lavori fossero decisamente indietro rispetto alla tabella di marcia, ma sapeva altresì che la Deepwater Horizon disponeva di difese sofisticate in grado di prevenire anche le più gravi esplosioni. Malgrado ciò, alle 22 di quella sera, una colonna di gas metano risalì lungo la trivella fino alla piattaforma, rendendo vani tutti i meccanismi di sicurezza della stessa, causando un’improvvisa e letale esplosione e una serie di palle di fuoco che scossero la piattaforma ed i suoi lavoratori, inondandoli di gas combustibile.
Da quel momento in poi, Williams ingaggiò una gara contro il tempo per salvarsi e per salvare la vita dei suoi compagni – guidati dalla speranza di tornare a casa – in una fuga che sembrava sfidare ogni previsione. Per Berg, i temi della storia, così vividi, offrono l’opportunità di far luce su un evento di cui si è parlato perlopiù in relazione al suo impatto ambientale, piuttosto che umano. “Sono attratto dalle storie in cui il coraggio e lo spirito umano cercano di trionfare sulle avversità – e questi elementi sono al cuore di questa storia”, dice Berg. “Gli uomini e le donne a bordo della Deepwater Horizon erano estremamente intelligenti e capaci e hanno fatto tutto quanto in loro potere per evitare che si verificasse l’esplosione. È importante ricordare che 11 persone hanno perso la vita su quella piattaforma e molte altre sono rimaste ferite. Nel dedicare giustamente l’attenzione allo sversamento di petrolio, è andato quasi perduto quell’eroismo. Questo film ci dà la possibilità di raccontare quella storia”.
Notevole il lavoro degli sceneggiatori che hanno avuto l’arduo compito di scavare nelle vite e nei cuori degli uomini e delle donne per i quali la Deepwater Horizon era una casa, un posto di lavoro e, dopo l’esplosione, una trappola letale ha richiesto approfondite ricerche. Gli eventi sono stati complessi, in certi momenti contestati, coinvolgendo macchinari e gergo altamente tecnici. Tutto ciò ha costituito la base della sceneggiatura di Matthew Michael Carnahan e Matthew Sand, con
adattamento di Matthew Sand, che ha scelto di mettere al centro le esperienze tra la vita e la morte e le emozioni vissute in quel momento dai lavoratori coinvolti. La sceneggiatura ha tratto ispirazione da un importante articolo del New York Times: “Deepwater Horizon’s Final Hours”, scritto da David Barstow, David Rohde e Stephanie Saul, risultato delle interviste a 21 sopravvissuti e di testimonianze giurate e dichiarazioni scritte da parte di altri, che ha offerto il resoconto più dettagliato di quello che è realmente accaduto, minuto per minuto, sulla piattaforma. Carnahan è
poi andato oltre, conducendo e selezionando le proprie interviste, concentrandosi sulle emozioni, ponendo l’accento sull’amore per la vita che spinge una persona a fare appello a tutte le proprie capacità, al coraggio e alla compassione nel bel mezzo del disastro. Ne è venuto fuori un approfondimento commovente di come la gente comune riesca a compiere azioni straordinarie quando ce n’è più bisogno. Carnahan afferma di aver sentito una forte responsabilità nel raccontare fedelmente quello che hanno passato gli uomini e le donne sulla Deepwater Horizon, specialmente
nei confronti di coloro che non hanno mai fatto ritorno a casa. “Ho cercato di fare del mio meglio per rendere omaggio alle 11 persone che hanno perso la vita quella notte. Non avevo mai lavorato prima a un film che avesse una così forte componente di realtà”, sottolinea lo sceneggiatore. “Mentre scrivevo, le persone che non ce l’hanno fatta erano costantemente presenti nella mia mente”. Quando il sopravvissuto Mike Williams – interpretato da Wahlberg nel film – ha deciso
di collaborare con noi come consulente, è stata la prova del nove. Williams ha ammesso di aver avuto dubitato che il film riuscisse a rendere giustizia a quello che egli aveva visto e sentito quella notte, ma è stato ben presto conquistato dall’approccio di Berg, incentrato alla persona, ed all’interesse di coinvolgere il pubblico nelle vite semisconosciute dei lavoratori della piattaforma petrolifera ben prima che si verificasse l’esplosione. “Quando Pete mi ha detto ‘questa è una storia che parla di sopravvissuti’, ho deciso di collaborare. Il settore petrolifero non è semplice da capire per i non esperti”, sottolinea Williams. “Si tratta di una comunità molto ristretta, per cui penso sia una fantastica opportunità di mostrare al mondo cosa fanno laggiù quegli uomini e quelle
donne”.
Ma cos’era la Deepwater Horizon? Un’insaziabile domanda di combustibile ha spinto le compagnie petrolifere a calarsi nelle profondità dell’oceano, dove l’uomo non aveva mai osato lavorare prima,
sostenuti dalle attrezzature altamente tecnologiche in grado di immergersi migliaia di metri al di sotto del livello del mare, dove nessun essere umano può arrivare, tra sabbie instabili e pericolose sacche di gas esplosivo. È un mondo meraviglioso di esplorazione per l’industria petrolifera, ma il 20 aprile 2010 i pericoli di quel mondo sono apparsi terribilmente chiari.
Quel giorno, la Deepwater Horizon, una piattaforma petrolifera semisommergibile di proprietà della società svizzera Transocean e noleggiata dalla British Petroleum stava eseguendo delle operazioni di trivellazione nel pozzo Macondo a circa 40 miglia dalla costa della Louisiana. Improvvisamente, gli operai hanno visto materializzarsi la più grande paura di tutti gli operatori delle piattaforme petrolifere: una terribile esplosione, causata da sacche di metano instabile risalito con una forza letale lungo il canale di trivellazione. Sebbene la piattaforma fosse attrezzata con un meccanismo di
prevenzione delle esplosioni e dotata anche di un Emergency Disconnect System (EDS), tutti i sistemi hanno fallito nel contenere l’esplosione. Lo scoppio iniziale ha ucciso 11 uomini, mai ritrovati, ferendone gravemente altri e innescando un’evacuazione di uomini e donne intrappolati da fango e fuoco. Dopo essere stata preda delle fiamme roventi per due giorni, quello che restava della Deepwater Horizon si è inabissato sul fondo dell’oceano a 1500 metri di profondità, mentre dal
pozzo sgorgava greggio senza alcun controllo, causando infine una fuoriuscita, secondo le stime del governo, di 4,9 milioni di barili di petrolio.
Da allora, il nome Deepwater Horizon è diventato sinonimo di “più grave sversamento di petrolio in mare della storia”. Ma prima di allora, la Deepwater Horizon era considerata una meraviglia della tecnologia. Una piattaforma petrolifera offshore è fondamentalmente una nave da crociera stazionaria e la Deepwater Horizon era tra le più sofisticate della flotta. Costruita in Corea del Sud, la piattaforma era costituita da un ponte dalle dimensioni di un campo da calcio, una torre di trivellazione alta 25 piani e alloggi in sottocoperta per 146 persone, comprensivi di palestra e cinema. La meccanica della Deepwater Horizon utilizzava tecnologia spaziale, da monitor di
trivellazione elettronica a un sistema di modelling computerizzato e difese di shut-off automatizzate.
Ma per quanto mirabile, al momento dell’esplosione la piattaforma era 6 settimane in ritardo sulla tabella di marcia, con un costo di mezzo milione di dollari al giorno – spingendo dunque il management a tentare di completare il pozzo nel più breve tempo possibile. Le conseguenze ultime dell’esplosione della Deepwater Horizon sono ancora in via di valutazione. Dopo diversi tentativi falliti di contenimento, il 21 settembre 2010 il pozzo è stato finalmente dichiarato chiuso. Oggi sono in corso procedimenti giudiziari, le attività costiere stanno riprendendo e gli ambientalisti stanno studiando i danni all’ecosistema marino. Ma per le 11 famiglie che hanno perso i loro cari e per i lavoratori che hanno affrontato un pericolo mortale, le conseguenze si sentono ogni singolo giorno.
Un film che porta una storia vera, una cruda realtà sul grande schermo e che nelle sale cinematografiche di mezzo mondo sta ottenendo un notevole successo.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *