Papa Francesco e la Speranza

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Papa Francesco e la Speranza.

Udienza generale festosa e gremita quella di Papa Francesco in una soleggiata ma fredda giornata di inverno romano. Il Pontefice è tornato a parlare di speranza cristiana e specificatamente si è addentrato nel 6- Salmo 115: le false speranze negli idoli.
Ha così esordito: “Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Nello scorso mese di dicembre e nella prima parte di gennaio abbiamo celebrato il tempo di Avvento e poi quello di Natale: un periodo dell’anno liturgico che risveglia nel popolo di Dio la speranza. Sperare è un bisogno primario dell’uomo: sperare nel futuro, credere nella vita, il cosiddetto “pensare positivo”.
Ma è importante che tale speranza sia riposta in ciò che veramente può aiutare a vivere e a dare senso alla nostra esistenza. È per questo che la Sacra Scrittura ci mette in guardia contro le false speranze che il mondo ci presenta, smascherando la loro inutilità e mostrandone l’insensatezza. E lo fa in vari modi, ma soprattutto denunciando la falsità degli idoli in cui l’uomo è continuamente tentato di riporre la sua fiducia, facendone l’oggetto della sua speranza.
In particolare i profeti e sapienti insistono su questo, toccando un punto nevralgico del cammino di fede del credente. Perché fede è fidarsi di Dio – chi ha fede, si fida di Dio –, ma viene il momento in cui, scontrandosi con le difficoltà della vita, l’uomo sperimenta la fragilità di quella fiducia e sente il bisogno di certezze diverse, di sicurezze tangibili, concrete. Io mi affido a Dio, ma la situazione è un po’ brutta e io ho bisogno di una certezza un po’ più concreta. E lì è il pericolo! E allora siamo tentati di cercare consolazioni anche effimere, che sembrano riempire il vuoto della solitudine e lenire la fatica del credere. E pensiamo di poterle trovare nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie. A volte le cerchiamo in un dio che possa piegarsi alle nostre richieste e magicamente intervenire per cambiare la realtà e renderla come noi la vogliamo; un idolo, appunto, che in quanto tale non può fare nulla, impotente e menzognero. Ma a noi piacciono gli idoli, ci piacciono tanto! Una volta, a Buenos Aires, dovevo andare da una chiesa ad un’altra, mille metri, più o meno. E l’ho fatto, camminando. E c’è un parco in mezzo, e nel parco c’erano piccoli tavolini, ma tanti, tanti, dove erano seduti i veggenti. Era pieno di gente, che faceva anche la coda. Tu, gli davi la mano e lui incominciava, ma, il discorso era sempre lo stesso: c’è una donna nella tua vita, c’è un’ombra che viene, ma tutto andrà bene … E poi, pagavi. E questo ti dà sicurezza? E’ la sicurezza di una – permettetemi la parola – di una stupidaggine. Andare dal veggente o dalla veggente che leggono le carte: questo è un idolo! Questo è l’idolo, e quando noi vi siamo tanto attaccati: compriamo false speranze. Mentre di quella che è la speranza della gratuità, che ci ha portato Gesù Cristo, gratuitamente dando la vita per noi, di quella a volte non ci fidiamo tanto.
Un Salmo pieno di sapienza ci dipinge in modo molto suggestivo la falsità di questi idoli che il mondo offre alla nostra speranza e a cui gli uomini di ogni tempo sono tentati di affidarsi. È il salmo 115, che così recita:
«I loro idoli sono argento e oro,
opera delle mani dell’uomo.
Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono,
hanno orecchi e non odono,
hanno narici e non odorano.
Le loro mani non palpano,
i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!
Diventi come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida!» (vv. 4-8).
Il salmista ci presenta, in modo anche un po’ ironico, la realtà assolutamente effimera di questi idoli. E dobbiamo capire che non si tratta solo di raffigurazioni fatte di metallo o di altro materiale, ma anche di quelle costruite con la nostra mente, quando ci fidiamo di realtà limitate che trasformiamo in assolute, o quando riduciamo Dio ai nostri schemi e alle nostre idee di divinità; un dio che ci assomiglia, comprensibile, prevedibile, proprio come gli idoli di cui parla il Salmo. L’uomo, immagine di Dio, si fabbrica un dio a sua propria immagine, ed è anche un’immagine mal riuscita: non sente, non agisce, e soprattutto non può parlare. Ma, noi siamo più contenti di andare dagli idoli che andare dal Signore. Siamo tante volte più contenti dell’effimera speranza che ti dà questo falso idolo, che la grande speranza sicura che ci dà il Signore.
Alla speranza in un Signore della vita che con la sua Parola ha creato il mondo e conduce le nostre esistenze, si contrappone la fiducia in simulacri muti. Le ideologie con la loro pretesa di assoluto, le ricchezze – e questo è un grande idolo – , il potere e il successo, la vanità, con la loro illusione di eternità e di onnipotenza, valori come la bellezza fisica e la salute, quando diventano idoli a cui sacrificare ogni cosa, sono tutte realtà che confondono la mente e il cuore, e invece di favorire la vita conducono alla morte. E’ brutto sentire e fa dolore all’anima quello che una volta, anni fa, ho sentito, nella diocesi di Buenos Aires : una donna brava, molto bella, si vantava della bellezza, commentava, come se fosse naturale: “Eh sì, ho dovuto abortire perché la mia figura è molto importante”. Questi sono gli idoli, e ti portano sulla strada sbagliata e non ti danno felicità.
Il messaggio del Salmo è molto chiaro: se si ripone la speranza negli idoli, si diventa come loro: immagini vuote con mani che non toccano, piedi che non camminano, bocche che non possono parlare. Non si ha più nulla da dire, si diventa incapaci di aiutare, cambiare le cose, incapaci di sorridere, di donarsi, incapaci di amare. E anche noi, uomini di Chiesa, corriamo questo rischio quando ci “mondanizziamo”. Bisogna rimanere nel mondo ma difendersi dalle illusioni del mondo, che sono questi idoli che ho menzionato.
Come prosegue il Salmo, bisogna confidare e sperare in Dio, e Dio donerà benedizione. Così dice il Salmo: «Israele, confida nel Signore […]
Casa di Aronne, confida nel Signore […]
Voi che temete il Signore, confidate nel Signore […]
Il Signore si ricorda di noi, ci benedice» (vv. 9.10.11.12). Sempre il Signore si ricorda. Anche nei momenti brutti lui si ricorda di noi. E questa è la nostra speranza. E la speranza non delude. Mai. Mai. Gli idoli deludono sempre: sono fantasie, non sono realtà.
Ecco la stupenda realtà della speranza: confidando nel Signore si diventa come Lui, la sua benedizione ci trasforma in suoi figli, che condividono la sua vita. La speranza in Dio ci fa entrare, per così dire, nel raggio d’azione del suo ricordo, della sua memoria che ci benedice e ci salva. E allora può sgorgare l’alleluia, la lode al Dio vivo e vero, che per noi è nato da Maria, è morto sulla croce ed è risorto nella gloria. E in questo Dio noi abbiamo speranza, e questo Dio – che non è un idolo – non delude mai”.
Quindi un chiarimento pratico contro chi si approfitta dei fedeli: “Adesso devo dirvi una cosa che non vorrei dire, ma devo dirla. Per entrare alle udienze ci sono i biglietti nei quali è scritto in una, due, tre, quattro, cinque e sei lingue che “Il biglietto è del tutto gratuito”. Per entrare all’udienza, sia in aula sia in piazza, non si deve pagare, è una visita gratuita che si fa al Papa per parlare con il Papa, con il vescovo di Roma. Ma ho saputo che ci sono dei furboni, che fanno pagare i biglietti. Se qualcuno ti dice che per andare in udienza dal Papa c’è bisogno di pagare qualcosa, ti sta truffando: stai attento, stai attenta! L’ingresso è gratuito. Qui si viene senza pagare, perché questa è casa di tutti. E se qualcuno si fa pagare per farvi entrare all’udienza commette un reato, come un delinquente, e fa qualcosa che non si deve fare!
Un saluto speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Domenica scorsa abbiamo celebrato la Festa del Battesimo del Signore, occasione propizia per ripensare al proprio Battesimo nella fede della Chiesa. Cari giovani, riscoprite quotidianamente la grazia che proviene dal Sacramento ricevuto. Cari ammalati, attingete dal Battesimo la forza per affrontare i momenti di dolore e di sconforto. E voi, cari sposi novelli, sappiate tradurre gli impegni del Battesimo nel vostro cammino di vita familiare”.
Da analizzare con attenzione alcune parole di Francesco che dapprima ha fatto l’esempio dei veggenti che leggono le mani e le carte – una «stupidaggine» – per illustrare le «false speranze» suscitate da «idoli» come l’ideologia, il potere, il successo, la bellezza o la salute e poi ha ricordato con «dolore» una donna che, sempre nella capitale argentina, aveva abortito per mantenere la linea fisica. Già appare incredibile ma non è così: abortire per mantenere la linea è qualcosa che va oltre l’immaginabile. Avevamo sentito di aborti con tante casuali diverse ma per la linea ancora ci mancava. Alcune donne continuano a sentenziare che non hanno abortito per egoismo, altre che da quell’errore la loro vita non è stata più la stessa.

Il giudizio della Chiesa Cattolica sull’aborto procurato e volontario non è mai cambiato. La dottrina cattolica sul punto, “immutata e immutabile” (cfr. Paolo VI, Humanae vitae, 1968, n. 14), si fonda sulla legge naturale e sulla Sacra Scrittura, è trasmessa nella Tradizione cristiana ed è unanimemente insegnata dal Magistero della Chiesa. Semmai si è arricchita nel corso dei secoli di nuove sfaccettature che precisano, mai contraddicono, gli insegnamenti precedenti. Il Magistero più recente, a partire dalla Dichiarazione sull’aborto procurato della Congregazione per la Dottrina della Fede (1974), è intervenuto su questo tema con particolare vigore.

Il “delitto abominevole” dell’aborto (Gaudium et spes, n. 51) è reso infatti ancora più lacerante dal fatto che “oggi, nella coscienza di molti, la percezione della sua gravità è andata progressivamente oscurandosi. L’accettazione dell’aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita” (Evangelium Vitae , 1995, n. 58).
Nonostante l’aborto sia divenuto ora in molti centri ospedalieri e in buona parte del mondo un trattamento sanitario di routine, e abbia condizionando una serie di atteggiamenti individuali e sociali nei confronti della gravidanza e della maternità, delle tecniche di diagnosi prenatale, dell’assistenza ai disabili, del sostegno alle famiglie numerose, la Chiesa ha mantenuto viva l’attenzione sulla sua gravità morale in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente, richiamando instancabilmente i governi e il mondo della cultura alla responsabilità su questo punto.
Quando sono state commercializzate e diffuse forme “nascoste” di aborto precoce attraverso la via della contraccezione, la Chiesa lo ha denunciato. Il Papa Giovanni Paolo II ha detto con chiarezza che alcuni contraccettivi sono in realtà abortivi, perché impediscono l’impianto dell’embrione nell’utero, mentre non impediscono spesso (o mai) la fecondazione (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 1995, n. 13). È questo il caso del dispositivo intrauterino o spirale (IUD, intra-uterine device) e di molti tipi di pillola ormonale, soprattutto delle “minipillole” di ultima generazione a basso dosaggio, che non sempre riescono a bloccare l’ovulazione ma, rendendo l’utero inospitale all’impianto, impediscono la prosecuzione della gravidanza.
Poi è stata la volta della pillola del giorno dopo, anch’essa puntualmente smascherata negli interventi del Magistero, e in particolare nei discorsi di Giovanni Paolo II, di contro ai tentativi manipolatori di definirla una semplice “contraccezione d’emergenza” (cfr. C. Navarini, La verità sulla “pillola del giorno dopo” , ZENIT, 23 maggio 2005).
E sempre in tema di aborto farmacologico la Chiesa si è espressa sulle “pillole del mese dopo”, come l’RU486, fin da quando i primi preparati a base di mifepristone venivano sperimentati sulle donne per dotarle di un aborto fai-da-te (Intervento della Santa Sede al Forum Internazionale dell’ONU sulla popolazione e lo sviluppo, L’Aia, 8-12 febbraio 1999).
Papa Francesco seppur parlando di perdono in caso di pentimento è chiarissimo: “Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente a essere abortito ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare!”. Parole chiarissime quelle del Papa che ha citato Benedetto XVI e quanto scritto dal suo predecessore sul tema dell’apertura alla vita.
Un sì “deciso e senza tentennamenti alla vita. Una diffusa mentalità dell’utile”, la cosiddetta “cultura dello scarto”, che – ha detto il Pontefice – “oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli”.

“Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano – ho parlato del bambino: andiamo agli anziani, altro punto – anche se infermo o alla fine dei suoi giorni porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare!”.
Va dunque ribadito – come riportato nella Dichiarazione sull’aborto procurato della Congregazione per la Dottrina della Fede – che “il primo diritto di una persona è la sua vita”. Nell’essere umano fragile, ha aggiunto il Santo Padre, “ciascuno di noi è invitato a riconoscere il volto del Signore, che nella sua carne umana ha sperimentato l’indifferenza e la solitudine a cui spesso condanniamo i più poveri, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle società benestanti”.




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