SIRIA – IL RITORNO NELLA LEGA ARABA

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SIRIA – La Siria torna a far parte della Lega Araba a distanza di 12 anni dalla sua espulsione. Lo hanno stabilito, a maggioranza, gli esponenti dell’organizzazione regionale che conta 22 stati membri, con un voto simbolicamente molto importante per l’intero mondo arabo. La riammissione di Damasco – sospesa nel 2011 dopo la violenta repressione delle proteste contro il governo di Bashar al Assad – segna in qualche modo la fine di una fase storica iniziata con imponenti sollevazioni di piazza contro un regime autocratico che di lì a poco avrebbe trascinato il paese in una guerra civile, tuttora in corso, che ha causato più di mezzo milione di morti e 13 milioni di sfollati. Una riabilitazione, quella del governo di Damasco, che è tanto più significativa poiché avviene nel mezzo di una serie di ‘normalizzazioni’ nei rapporti diplomatici regionali delle ultime settimane. L’iniziativa, sostenuta dalla Giordania, ha subìto una brusca accelerazione dopo il gravissimo terremoto che a febbraio si è abbattuto su Turchia e Siria e l’accordo di pace, mediato dalla Cina, tra Arabia Saudita e Iran, che in questi anni avevano sostenuto fazioni opposte nel conflitto siriano.

La notizia era nell’aria, ma è stata accolta con irritazione e disappunto dai gruppi di opposizione che ancora controllano alcuni territori nel nord della Siria. “Rispettiamo tutte le opinioni su questo tema. Comprendiamo ciò che l’opposizione ha detto e comprendiamo che si trovino in una posizione difficile”, ha detto ad Al Jazeera l’assistente del segretario generale della Lega Araba Hossam Zaki. “L’evidenza che si è diffusa negli ultimi mesi, specialmente dopo la catastrofe del terremoto, è che non c’è una chiara attenzione internazionale che dovrebbe portare ad una soluzione in Siria – ha spiegato Zaki – e la crisi siriana ha avuto effetti molto negativi sui paesi vicini. In particolare i paesi arabi ritengono che questa situazione debba essere risolta. Questo è il motivo per cui siamo arrivati ​​a questo punto”, ha aggiunto il funzionario. Il mese scorso il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, aveva visitato Damasco per la prima volta in più di un decennio, e con l’occasione i due paesi avevano annunciato la riapertura delle reciproche ambasciate e il ripristino di voli diretti. Dopo di lui, anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha visitato Damasco la scorsa settimana, firmando accordi commerciali e petroliferi, mentre Bahrein e Tunisia avevano annunciato di recente la ripresa dei pieni rapporti diplomatici con Damasco.

Al vertice della Lega Araba al Cairo che ha preso la decisione di riammettere la Siria, erano presenti i ministri degli Esteri di 13 nazioni su 22. Il segretario generale dell’organismo, Ahmed Aboul Gheit, ha detto che la mossa segna l’inizio di un processo “graduale” per risolvere la crisi e ha sottolineato che la riammissione di Damasco non significa una ripresa delle relazioni tra gli stati arabi e la Siria poiché “spetta a ciascun paese decidere individualmente”. A margine dell’incontro, i ministri presenti – tra cui spiccava l’assenza del Qatar, contrario alla riammissione – hanno sottolineato la necessità di porre fine alla guerra civile nel paese e alle conseguenti crisi dei rifugiati e del traffico di droga. L’isolamento economico del paese e l’alto costo finanziario del conflitto per il regime e i suoi alleati hanno trasformato la Siria in un ‘narco-stato’, vero e proprio hub del contrabbando di Captagon, un’anfetamina a basso costo la cui diffusione è considerata dai paesi limitrofi una vera e propria emergenza transnazionale. Secondo diverse fonti, in cambio della riammissione nei contesti internazionali, Damasco avrebbe accettato di porre un freno alle esportazioni della potente ‘droga dei combattenti’ il cui commercio – un giro d’affari di miliardi di euro all’anno – sarebbe direttamente riconducibile al fratello del presidente, Maher al Assad, capo de facto dell’unità militare d’élite dell’esercito siriano.

Sull’argomento in questione gli osservatori hanno pochi dubbi: la riabilitazione di Damasco nella Lega Araba è una chiara vittoria per il presidente Bashar al Assad, che potrebbe già presenziare al prossimo vertice dell’Organizzazione in programma in Arabia Saudita. Dal 2011 ad oggi almeno 500mila siriani sono stati uccisi dal regime e dai suoi alleati alcune stime parlano di 135mila scomparsi nelle carceri del regime. Il presidente non ha fatto alcun passo indietro e non mostra alcun rimorso: perché allora i ministri arabi hanno deciso di riammettere Damasco ‘all’ovile’? Le ferite siriane ancora aperte hanno avuto effetti dannosi su tutta la regione, con l’esodo in massa di milioni di rifugiati in Libano, Giordania e Turchia, esacerbando tensioni economiche e sociali. Culturalmente e politicamente, la Siria è uno degli organi vitali del mondo arabo. La perdita e lo smembramento di questo organo negli ultimi 12 anni è stato catastrofico per la stabilità regionale. Ma c’è di più. “Per gli stati regionali che reinseriscono il regime di Assad, il calcolo è guidato da un semplice fatto: gli Stati Uniti e gli alleati non si vedono da nessuna parte. La loro politica siriana è impotente e indifferente”, osserva Charles Lister sul Guardian.




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