Movienerd Arriva nei cinema “T H E S H I F T”

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Movienerd – Un dramma thriller claustrofobico ma al tempo stesso adrenalinico e dal ritmo incalzante, che ha come protagonisti Adamo Dionisi (Pasolini, Suburra, Dogman, Suburra – La serie) e Clotilde Hesme, star francese della serie Les Revenants e di film come Regular Lovers e Love Songs. Il film, ambientato a Bruxelles, trae ispirazione dai recenti attentati di matrice islamica che hanno trascinato nella psicosi le più importanti capitali d’Europa.

Arriva nei cinema italiani dal prossimo 3 Giugno, THE SHIFT, debutto alla regia di Alessandro Tonda, (già aiuto regista di Romanzo Criminale 2 – La serie, Gomorra – La serie, Suburra, Sicilian Ghost Story) arriva finalmente al cinema, dopo essere stato presentato con successo, in concorso, alla Festa del Cinema di Roma. Un drama thriller claustrofobico ma al tempo stesso adrenalinico e dal ritmo incalzante, che ha come protagonisti Adamo Dionisi (Pasolini, Suburra, Dogman, Suburra – La serie) e Clotilde Hesme, star francese della serie Les Revenants e di film come Regular Lovers e Love Songs. THE SHIFT, ambientato a Bruxelles, trae ispirazione dai recenti attentati di matrice islamica che hanno trascinato nella psicosi le più importanti capitali europee e racconta una situazione fuori dal comune, messa in atto dall’incoscienza di un adolescente. E’ la La storia di due giovani terroristi. Eden e Abdel irrompono in una scuola di Bruxelles per compiere una strage di coetanei, ma Abdel si fa saltare in aria prima del previsto coinvolgendo Eden nell’esplosione. Poco dopo i paramedici Isabel e Adamo, accorsi sul posto, caricano sulla loro ambulanza un ragazzo ferito e privo di sensi senza immaginare che si tratta proprio di Eden. Quando Isabel si accorge della cintura esplosiva è ormai troppo tardi: Eden si è svegliato e prende il controllo dell’ambulanza, minacciando i paramedici di premere il bottone se non eseguiranno i suoi ordini…
Il regista Alessandro Tonda ci parla del suo film: “Ricordo come fosse ieri la mattina del 14 novembre 2015 quando, guidando per le strade di Torino diretto a lavoro, cominciai a riflettere con lucidità su quanto avvenuto la notte precedente a Parigi. Ero confuso. Nella mia testa rimbalzavano mille pensieri, mille domande cui non riuscivo a dare risposta. Ricordo che pioveva. I tergicristalli dell’auto si muovevano in un ritmo perfetto con Hunger of the pine, la canzone degli Alt-J. Guidavo piano, ricordo, perché la pioggiacopriva la visuale e perché ero davvero scosso. Mi sentivo disarmato, vulnerabile, fragile. In quei momenti la nostra ragione vacilla, è come se si fosse senza difese, perché non si sa esattamente da dove possa arrivare la violenza. E se fosse capitato a me? E se fossi stato tra le vittime, cosa avrebbe provato la mia famiglia? Non so perché, ma pensai a mio padre, che è un uomo taciturno, ma che quella mattina aveva commentato il massacro con un fiume di parole delicatissime, piene di dolore, mentre io rimanevo zitto bevendo il caffè insieme a lui in cucina. Mio padre è un volontario della Croce Rossa Italiana, guida l’ambulanza. E chissà come si sarebbe comportato lui se fosse dovuto intervenire sul luogo del disastro. Chissà cosa avrebbe provato, se tra quelle vittime avesse riconosciuto suo figlio. Gli attentati terroristici di matrice islamica susseguitisi nel tempo in Francia, in Belgio e nel resto del mondo, mi hanno spinto inoltre a interrogarmi sul perché di tali gesti e a sforzarmi di capire da dove venisse questa rabbia. Mi sono accorto che spesso, tralasciando le pure motivazioni storiche ed economiche, il fondamentalismo mette radici nel disagio sociale e che sempre più frequentemente trova terreno fertile tra gli adolescenti. Così è nato The Shift. Non un film che abbia la pretesa di dare delle risposte su un argomento così ampio e delicato, bensì una storia che affronta il tema osservandolo da vicino, guardando dritto negli occhi di un giovane perso in un percorso folle e di una donna attaccata alla vita che proverà con tutti i suoi mezzi a farlo ragionare, a ricordargli chi è, da dove viene e soprattutto dove rischia di andare.
Ho pensato che fosse fondamentale concentrare l’attenzione sull’evoluzione dei personaggi, della loro psicologia; sulla fragilità di Eden e sulla sua paura di morire. Quella stessa paura che lo porta a essere imprevedibile e pericoloso. Tutto questo, in termini drammaturgici e cinematografici, si traduce in un racconto ricco di tensione psicologica, dal ritmo serrato e compresso in un arco narrativo ristretto, dove il tempo reale e quello della storia coincidono. I personaggi sono stati disegnati in maniera nitida approdando a un’efficace complementarità lungo la gamma di emozioni che la vicenda narrata scatena in loro. Sono convinto però che, ancor più degli aspetti narrativi, formali ed estetici, gran parte del lavoro è affidato alla recitazione. Ho diretto gli attori verso un’interpretazione naturalistica, al limite tra realtà e finzione, e sono loro ad
accompagnare, senza dare giudizi, lo spettatore verso una riflessione profonda su quale sia il limite della compassione e dell’empatia verso chi ha sbagliato in modo così grave. Buona parte del film è raccontata attraverso i vetri dell’ambulanza, sui quali ho valorizzato la città, sfruttando riflessi, colori e forme. Benché la storia si prestasse ad essere raccontata in una qualsiasi capitale europea, non ho indugiato a scegliere Bruxelles, non solo perché il Belgio è sicuramente uno dei paesi più feriti e sensibili sull’argomento, e nel quale è giusto raccontare una storia che si fonda su un atto di eroismo, ma anche e soprattutto perché Bruxelles trascende la propria generica natura di metropoli e rappresenta, da un punto di vista istituzionale e nell’immaginario comune, un simbolo dell’intera Unione Europea. Ambientare il film a Bruxelles significa dunque ambientarlo in Europa prima ancora che in Belgio, sottolineando come i rischi della radicalizzazione e le opportunità dell’integrazione riguardino un intero continente chiamato a confrontarvisi in un modo per una volta coeso e coordinato. Credo che ogni film debba essere unico e rappresentativo ed è questo il motivo per cui non amo particolarmente fare paragoni con altri film. Tuttavia, ho attinto sia alla tradizione del cinema neorealista italiano che ai più recenti autori internazionali, quali Alejandro González Iñárritu (21 Grammi) e Kathryn Bigelow (The Hurt Locker), ed europei quali Michaël R. Roskam (Bullhead), Nicolas Boukhrief (Made in France) e Felix Van Groeningen (Alabama Monroe).
Il look del film vive di suggestioni che provengono dalla strada, dalla realtà. Vorrei far percepire sulla pelle e sui vestiti dei personaggi l’afa, il sudore e la paura, adeguando la palette cromatica ai toni della scenografia circostante. Non è vero che l’abito non fa il monaco. Bruxelles è una gabbia che racchiude tipi umani diversi ma uguali tra loro. Sono consapevole che con il mio film non riuscirò a trovare una soluzione ai mali del mondo e in particolare al terrorismo, ma credo che il mio ruolo e il ruolo di tutti coloro che si avvicinano a una forma di espressione sia proprio quello di sollevare e stimolare alla riflessione. Allora, cosa possiamo fare per arginare tutto questo?.




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