RELIGIOUS ITINERARIES – CHIESA DI SAN FILIPPO A TREIA

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RELIGIOUS ITINERARIES – Affacciata su piazza della Repubblica, la chiesa treiese di San Filippo fu realizzata tra il 1767 e il 1773 ad opera dell’architetto comasco Pietro Augustoni (1741-1813). L’architetto Giovanni Antinori (1724-1792) fu invece incaricato dei lavori della facciata, che però non venne mai completata. Il complesso filippino venne sottoposto alle pesanti espropriazioni effettuate in età napoleonica e postunitarie, cosicché la chiesa divenne, e lo è tuttora, di proprietà comunale. Oggi, è adibita a spazio espositivo.

All’interno l’edificio presenta una pianta ad un’unica navata, a doppia campata coperta con due volte a vela ornate da crociere di stucco e tondi dipinti centrali con raffigurati S. Antonio Abate e S. Filippo; l’ampia spazialità delle due campate si apre nelle due coppie di cappelle laterali raccordate alla navata con voltine strombate, alla cui sommità sono rappresentate entro specchiature ovali le Virtù Cardinali. L’area presbiteriale a pianta rettangolare è anch’essa coperta da volta a vela e ospita ai lati due eleganti cantorie in legno.

L’illuminazione naturale dell’interno è data dalle aperture a lunetta delle 4 cappelle e ai 2 lati dello spazio presbiteriale, dall’oculo posizionato sopra il frontone dell’altare maggiore e dalla finestra della controfacciata. Un’alta fascia trabeata percorre tutto il perimetro sorretta da paraste di ordine corinzio.

Nella parte posteriore, sono state sistemate la sacrestia voltata a botte e l’oratorio, a pianta rettangolare con soffitto a vela stuccato. Le cappelle laterali sono arricchite da altari in struttura lignea in finto marmo e dorata, dove sono collocati il dipinto con S. Carlo Borromeo che comunica S. Luigi Gonzaga di Pasquale Ciaramponi da Treia (prima cappella a destra), una tela raffigurante la SS. Vergine del Bell’Amore del 1788 del pittore romano Prospero Mallorini (seconda cappella a destra), il Crocefisso, detto di San Marco, dipinto su tavola, opera del XV secolo (seconda cappella a sinistra); dello stesso Ciaramponi (1734-1792) è la tela con Cristo in gloria, S. Antonio Abate e SS. Ignazio Lodola, Clemente Martire, Francesco di Sales, Francesco Borgia (prima cappella a sinistra).

 

LA STORIA DI SAN FILIPPO

Matteo, Marco e Luca, gli evangelisti sinottici, riferiscono solo il nome, Filippo, e il luogo di nascita, Betsaida, una piccola città sul lago di Genesaret. Meno avaro, Giovanni ci informa che Filippo era amico di Natanaele-Bartolomeo, e che è stato proprio lui a presentarlo a Gesù: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti… vieni e vedi».
Quando poi avviene la miracolosa moltiplicazione dei pani raccontata da Giovanni, è proprio a Filippo che Gesù si rivolge per chiedergli: «Dove compreremo pane sufficiente a sfamare tutta questa gente?». Fu un giorno memorabile, quello: sulle colline attorno al lago stava per cadere la sera. La giornata era stata lunga e afosa e la gente che aveva seguito Gesù fin dal mattino ascoltando la sua parola, accompagnandolo nel suo peregrinare da un paese all’altro, si ritrovò stanca e affamata. Mandarla a casa cosi, e aveva magari un lungo tratto di strada da percorrere, a Gesù parve un’inutile crudeltà. Ecco il senso del suo cruccio quando chiese a Filippo: «Come faremo a sfamare tanta gente?».
Filippo forse non afferrò il senso di quella domanda, gettò uno sguardo sulla folla visibilmente stanca, ma ancora restia ad allontanarsi dal Maestro, timorosa di perdere una sua parola, un suo insegnamento, uno dei suoi messaggi che aprivano ogni volta il cuore alla speranza. E poi, rivolto a Gesù, allargando le braccia in segno di impotenza, disse: «Maestro, le nostre casse sono vuote, ma neanche se avessimo duecento denari [Cristo verrà tradito per trenta!] a portata di mano riusciremmo a comprare abbastanza pane per darne a ognuno un pezzettino». Gesù, come si sa, tolse dalle angustie Filippo e gli altri discepoli, ugualmente preoccupati, facendo sgorgare dalle sue mani miracolose una cascata di pesci e di pani che saziarono tutti.
Filippo di certo era un uomo semplice, concreto. Seguiva i ragionamenti di Gesù quando questi, con un linguaggio terra-terra parlava di messi biondeggianti, di pesce, di campi arati, di semine… e capiva che dietro l’immagine c’era un insegnamento, un invito a essere disponibile all’azione di Dio, ad aprirsi alla salvezza, ad amare il prossimo e così via… Ma quando Gesù la metteva sul difficile e cercava di far capire ai discepoli, ad esempio, quali rapporti intercorrevano tra il Padre, lo Spirito e lui stesso in seno alla Trinità, beh! allora la sua mente si ingarbugliava, si bloccava come quella di un bambino di fronte all’uscio di una stanza buia.
Durante l’ultima cena Gesù si era inoltrato in un discorso del genere, lasciando i discepoli con le ciglia aggrottate, segno di un rovello interiore che non trovava vie d’uscita. Intervenne allora Filippo a sbloccare la tensione: «Beh, Maestro, falla corta, mostraci chi è il Padre e ci basta». Un atto di fede cieca in Gesù, ma anche il segno di un’intelligenza un tantino impacciata.
Dopo quest’episodio, Filippo rientrò nell’ombra che ha avvolto anche altri discepoli, neppure rischiarata dalla luce della leggenda. Una confusa tradizione, tuttavia, vuole che egli, dopo aver peregrinato per il mondo, missionario e testimone della buona novella di Cristo, sia morto crocifisso come il Maestro, probabilmente a Gerapoli, durante la persecuzione scatenata dal perfido Domiziano o addirittura in quella ancora più crudele di Traiano. Sarebbe morto alla veneranda età di ottantasette anni!
Le sue reliquie, trasferite a Roma nella chiesa dei Santi Apostoli, furono composte accanto a quelle di un altro apostolo, Giacomo. Ecco il motivo per cui la chiesa latina ne celebra unicamente la festa il 3 maggio.



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