9 luglio 1943: la notte dello sbarco alleato in Sicilia

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9 Luglio 1943 – Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 le forze Alleate britanniche, americane e canadesi sbarcarono sulle spiagge della Sicilia, ancora controllata dalle forze dell’Asse, nell’ambito della cosiddetta “Operazione Husky”. Nell’arco di terra tra Licata e Siracusa si riversarono 160.000 soldati; 4000 aerei da combattimento e da trasporto fornirono l’appoggio dal cielo mentre nel mare ci furono 285 navi da guerra, due portaerei e 2.775 unità di trasporto.
Lo sbarco in Sicilia fu la seconda più imponente operazione offensiva organizzata dagli Alleati nella seconda guerra mondiale, la più vasta in assoluto nel settore del Mediterraneo; soltanto con l’invasione della Normandia (“Operazione Overlord”), undici mesi dopo, si riuscì ad impiegare un numero maggiore di uomini. Per la prima volta apparvero il DUKW, camion anfibio a sei ruote, ed il LST, mezzo da sbarco per i carri armati. Nella fase iniziale vennero sbarcate ben sette divisioni (tre inglesi, tre americane ed una canadese) contro le cinque sbarcate nel corso della corrispondente fase in Normandia.
La Sicilia venne liberata in soli 39 giorni quando, il 17 agosto, le truppe Alleate entrarono a Messina dopo aver conquistato tutte le altre importanti città (Palermo il 22 luglio, Catania il 5 agosto) e costringendo i tedeschi alla fuga verso la Calabria. Per la prima volta apparvero il DUKW, camion anfibio a sei ruote, ed il LST, mezzo da sbarco per i carri armati. Nella fase iniziale vennero sbarcate ben sette divisioni (tre inglesi, tre americane ed una canadese) contro le cinque sbarcate nel corso della corrispondente fase in Normandia. La Sicilia venne liberata in soli 39 giorni quando, il 17 agosto, le truppe Alleate entrarono a Messina dopo aver conquistato tutte le altre importanti città (Palermo il 22 luglio, Catania il 5 agosto) e costringendo i tedeschi alla fuga verso la Calabria.
L’idea di invadere la Sicilia era emersa dapprima a Londra durante l’estate del 1942, quando vennero fissati due importanti obiettivi strategici nel Mediterraneo per le forze inglesi: Sicilia e Sardegna, alle quali furono assegnati rispettivamente i nomi in codice di Husky e Brimstone. Ma la possibilità di un invasione tutta britannica della Sicilia venne immediatamente esclusa. Dopo aver sconfitto le truppe italo-tedesche ad El Alamein, in Egitto, e dopo il successo dell’invasione del Marocco e dell’Algeria (novembre 1942, “Operazione Torch”), le truppe Alleate anglo-americane si accingevano a conquistare l’Africa settentrionale. Ora che la vittoria in Nordafrica era prossima, bisognava preparare la mossa successiva; la Conferenza di Casablanca, chiamata in codice “Operazione Symbol”, fu organizzata il 14 gennaio del 1943 proprio per prendere una decisione comune sul da farsi. E la risposta fu invadere la Sicilia. La più grande isola del Mediterraneo, a 130 km dalla costa della Tunisia, rappresentava la porta per entrare in Italia e segnare il primo attacco alla “Fortezza Europa”; la Sicilia gettò la basi per le decisive battaglie che seguirono nel 1944. La decisione finale non fu però facile; inglesi ed americani avevano infatti due opposte concezioni della guerra. Gli americani, fiduciosi delle loro immense risorse materiali, erano per un  attacco frontale contro la Germania da attuarsi con un invasione della Francia del nord attraverso il Canale della Manica; gli inglesi, consapevoli di possedere minori risorse ma più esperti sui mari, preferivano invece un attacco meno diretto e continuare la strategia sul Mediterraneo volta a portare fuori dalla guerra l’Italia (considerata il “ventre molle” dell’Europa).


Alla conferenza, la rappresentanza britannica era capeggiata dal Primo Ministro W. Churchill e dal capo di Stato maggiore imperiale, il generale sir Alan Brooke; inoltre erano presenti l’ammiraglio sir Dudley Pound, il maresciallo di campo sir John Dill (che rappresentava i capi di Stato maggiore inglesi a Washington) ed il futuro maresciallo della Royal Air Force sir Charles Portal. La delegazione americana era molto ridotta ed impreparata rispetto a quella inglese, poiché i più esperti ed importanti ufficiali di Stato maggiore erano rimasti a Washington. Oltre al Presidente F.D. Roosevelt, erano presenti il generale George C. Marshall, capo di Stato maggiore dell’esercito americano, l’ammiraglio Ernest J. King, capo delle operazioni navali ed il generale H.H. Arnold, che comandava le Forze aeree. L’accordo che venne raggiunto a Casablanca, dopo forti contrasti tra i comandanti delle due potenze Alleate, fu in realtà un compromesso tra le due rispettive concezioni della guerra. A prevalere fu comunque la strategia complessiva inglese: gli americani finirono per appoggiare le richieste inglesi di continuare le operazioni sul Mediterraneo, attraverso l’invasione della Sicilia, in cambio dell’impegno da parte degli inglesi per un attacco diretto sul Canale l’anno successivo.
In seguito all’accordo di Casablanca, il Generale Dwight D. Eisenhower, già comandante delle forze Alleate in Nordafrica, ebbe il comando supremo dell’operazione Husky. Sotto di lui, il generale Sir Harold Alexander fu designato comandante di tutte le forze di terra ed ebbe la diretta responsabilità dei combattimenti, l’ammiraglio Andrew B. Cunningham doveva essere il comandante delle Forze navali mentre il comando delle Forze aeree Alleate fu assegnato al maresciallo dell’Aria Sir Arthur Tedder. Lo Stato maggiore unificato (JPS-Joint Planning Staff) affidò ad Eisenhower il compito di formare un quartier generale per organizzare il piano di invasione e alla fine di gennaio venne creato un gruppo di programmazione ad Algeri che prese il nome di “Task Force 141” perché gli era stato dato il numero della stanza dell’albergo dove ebbe luogo il primo incontro.
Vennero create due distinte unità operative che avrebbero dovuto agire in modo autonomo in Sicilia: una orientale, britannica, chiamata “Force 545” ed una occidentale, americana, chiamata “Force 343”. Come comandanti dell’esercito Eisenhower scelse il Generale Sir Bernard Montgomery a capo dell’Ottava Armata inglese ed il Tenente Generale George Patton per la Settima Armata americana; il comando navale e dell’aviazione sarebbe invece spettato rispettivamente all’Ammiraglio Ramsay ed al vice Maresciallo dell’aria Broadhurst per l’unità orientale, al vice Ammiraglio Hewitt ed al Generale House per quella occidentale.
Comunque i comandanti Alleati erano impegnati in nord Africa contro le truppe dell’Asse e fino ad aprile non dedicarono molta attenzione all’Operazione Husky. Il primo tentativo di piano proponeva atterraggi degli inglesi tra Siracusa e Gela, seguiti da una divisione d’assalto su Catania, mentre gli americani dovevano far atterrare una divisione nei pressi di Sciacca seguita da un’assalto su Palermo, per catturare il suo porto. Montgomery espresse le sue preoccupazioni sul piano della force 141 direttamente al quartier generale di Algeri, davanti ad Eisenhower ed Alexander. Egli riteneva più appropriato che gli americani sbarcassero sulla costa meridionale per prendere gli aerodromi e rinunciassero allo sbarco a Palermo; il comandante dell’Ottava Armata si aspettava una forte resistenza delle forze dell’Asse in Sicilia perciò chiedeva un atterraggio iniziale più forte e più concentrato.
Il piano di Montgomery scatenò le reazioni degli altri comandanti superiori: sia Tedder che Cunningham erano favorevoli all’idea di sbarchi sparpagliati, mentre Patton era in collera poiché la proposta di Montgomery avrebbe relegato le truppe americane ad un ruolo di minore importanza, mentre gli inglesi avrebbero compiuto le imprese maggiori. Per superare le divergenze, Eisenhower convocò un incontro tra tutti i comandanti per il 2 maggio, ad Algeri. Qui Montgomery riuscì a far valere le sue ragioni militari per far cancellare l’operazione su Palermo e dirottare lo sforzo americano solo sulla zona di Licata-Gela-Scoglitti. Eisenhower, rendendosi conto che la crisi doveva giungere ad una fine, il 3 maggio prese la decisione di accettare la versione di Montgomery che poi venne adottata come piano definitivo per la presa della Sicilia (il 13 maggio). Nel piano, l’VIII Armata avrebbe assalito quella parte di costa situata tra Siracusa e Pozzallo, con quattro divisioni (la 5° e la 50° del XIII Corpo d’Armata, la 1° canadese e la 51° Highland del XXX Corpo d’Armata) ed una brigata indipendente (la 231° di fanteria) con lo scopo di catturare il porto di Siracusa e le zone di sbarco intorno a Noto e Pachino, per poi prendere contatto con la VII Armata di Patton a Ragusa. Le forze avrebbero proseguito verso nord per impadronirsi dei porti di Augusta e di Catania e dei campi di aviazione di Gerbini, tutti importanti obiettivi strategici, per poi spingersi alla cattura di Messina e isolare le truppe dell’Asse dall’Italia continentale.
La VII Armata sarebbe sbarcata nell’area del Golfo di Gela, tra Licata e Capo Scaramia, con due divisioni del II Corpo d’Armata, la 1° (chiamata Dime Force, che doveva attaccare Gela) e la 45° (chiamata Cent Force, che avrebbe attaccato Scoglitti), più una sotto task force separata (Joss Force) composta da 27.000 uomini della 3° divisione guidata dal generale Lucian Truscott (rinforzata da un battaglione di Rangers e da una rappresentanza di 900 marocchini) che doveva dirigere un attacco simultaneo contro Licata. I principali obiettivi della Task Force americana erano il porto di Licata e i campi di aviazione di Ponte Olivo, Comiso e Biscari, per poi prendere contatto a Ragusa con le truppe dell’VIII Armata e proteggere il loro fianco sinistro.
Prima degli sbarchi delle due Armate erano previsti atterraggi di truppe aviotrasportate e di alianti della 1° Brigata di sbarco aereo e dell’82° divisione aviotrasportata per ostacolare i movimenti e le comunicazioni nemiche e per aiutare a catturare i campi d’aviazione nel settore di Gela e l’importante ponte sul fiume Anapo a sud di Siracusa.
Le forze navali, infine, erano suddivise in due task forces (orientale e occidentale) e dovevano appoggiare gli sbarchi delle due Armate, sostenendole con il cannoneggiamento navale. L’imponente flotta di 3200 navi riunite per l’operazione Husky fu la più gigantesca che si sia mai vista nella storia mondiale.
“Attraverso la folla che ci dava il benvenuto, una colonna di soldati italiani marciavano su un lato della strada con le braccia alzate sulla testa. Ne vidi uno che guardava rabbiosamente mentre un civile gettò con gioia un cocomero sul mio sedile. Un altro soldato camminava con le lacrime che gli scorrevano lungo la faccia… Mai avevo visto uno spettacolo più pietoso. E i soldati italiani, mentre passavano attraverso la folla dei loro connazionali che acclamavano i soldati di un altro paese, devono essersi sentiti veramente amareggiati”. Chi scrive è Jack Belden, corrispondente di guerra della rivista statunitense Life. La scena descritta, coi soldati italiani incamminati verso la prigionia e con gli italiani che acclamano i soldati americani, fino a poche ore prima “nemici”, si svolse a Giacalone, un paesino nei pressi di Monreale. La propaganda alleata aveva colto nel segno: gli Alleati si apprestavano allo sbarco in una Nazione sfiduciata, stanca dopo tre anni di una guerra che ormai non lasciava più illusioni, con un regime che di lì a pochi giorni avrebbe pagato la colpa di aver portato il Paese al disastro. Senza dubbio la campagna militare non fu per gli Alleati una passeggiata, sia per la presenza di unità tedesche sul suolo siciliano, sia per le diverse reazioni dei vari reparti italiani acquartierati sull’isola. Infine, una serie notevole di errori e leggerezze da parte degli Alleati furono alla base di quella che fu definita una “vittoria amara”.

Da parte italiana e tedesca l’attacco all’Europa era ovviamente atteso e i servizi di spionaggio erano da tempo al lavoro per capire quale sarebbe stato il luogo dello sbarco tra i molti possibili nel Mediterraneo. Per ingannare il nemico gli Alleati attuarono una beffa che passò alla storia, tanto da aver successivamente suggerito anche la trama di un film. Nella tarda mattina del 30 aprile, al largo delle coste di Cadice, in Spagna, fu rinvenuto da alcuni pescatori il cadavere di un ufficiale inglese che, dai documenti in suo possesso, risultò essere il maggiore William Martin, dei Royal Marines britannici. Legata al cadavere, una borsa diplomatica conteneva documenti che furono giudicati importantissimi dai servizi segreti tedeschi, che erano stati prontamente avvisati dai colleghi spagnoli. In particolare una lettera, inviata dal Naval War Staff al generale Alexander, parlava esplicitamente di una imminente invasione della Grecia e di come i preparativi per lo sbarco in Sicilia servissero solo per sviare l’attenzione degli italo – tedeschi. L’operazione Mincement, descritta nella falsa lettera, fu presa per vera dai tedeschi, che caddero nella trappola, come dimostrano gli ordini di Hitler, che spostò dalla Francia verso la Grecia la 1° Divisione Panzer. L’attenzione dei comandi tedeschi si concentrò così sulla Grecia nonché sulla Sardegna, ritenuta altro probabile obiettivo alleato.
Restò, e lo è tuttora, nel mistero la vera identità del cadavere ritrovato in mare dai pescatori spagnoli. Pare si trattasse di un malato di mente, morto accidentalmente per affogamento nelle acque del Tamigi. Nel cimitero della cittadina spagnola di Huelva è oggi seppellito il cadavere dell’uomo che non è mai esistito: il maggiore William Martin, nato dalla fantasia dei servizi segreti britannici. Gli italiani non credettero invece alla messinscena inglese, convinti, a ragione, che la Sicilia fosse il vero obiettivo degli Alleati; d’altra parte, a questa certezza se ne aggiungeva un’altra, non meno allarmante della prima: l’insufficienza dei mezzi di difesa dell’isola, unitamente al morale basso sia delle truppe sia della popolazione civile, definita “rassegnata, agnostica, priva di volontà” in un drammatico rapporto redatto dal generale Alfredo Guzzoni, comandante delle forze di stanza in Sicilia.
Questo rapporto, compilato un mese prima dell’invasione e riportato in appendice nel libro di Costanzo, evidenziava anche altri problemi: le difese passive inadeguate, la carenza di mezzi corazzati, cannoni anticarro e artiglieria in genere. Inoltre, sottolineava il generale Guzzoni, molti soldati di stanza in Sicilia erano riservisti siciliani, che spesso si allontanavano arbitrariamente dai reparti per far visita alle proprie famiglie. Morale basso della popolazione, ma morale non certo migliore tra i soldati. Tutti erano “in attesa”; ma l’attesa era soprattutto della fine della guerra. Non importa come, purché finisse.
Nel quadro delle operazioni preparatorie dello sbarco, Costanzo ci parla anche di quel romanzato, ma mai dimostrato, contributo della mafia siciliana, che si sarebbe attuato a opera di Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano, criminale italo – americano, detenuto negli Stati Uniti, ma sempre in contatto coi suoi fratelli siciliani. Fu piuttosto ad invasione avvenuta che la mafia seppe sfruttare la situazione, piazzando molti suoi uomini nei posti più importanti delle amministrazioni locali, da cui poter controllare soprattutto le distribuzioni di viveri: posti chiave per arricchirsi e per riprendere posizioni di potere. Abbiamo constatato dunque come i tedeschi fossero convinti che la Sicilia non era l’obiettivo alleato e in questa convinzione restarono anche dopo la rapidissima conquista di Pantelleria, Lampedusa e Linosa, effettuata tra l’11 e il 13 giugno, dopo intensi bombardamenti. In particolare Pantelleria, dotata di un attrezzato aeroporto e di una stazione radar, era importante per gli Alleati, che ne avrebbero fatto una base per il decollo degli aerei che avrebbero appoggiato le successive azioni sulla Sicilia. La conquista delle tre isole non ha storia, se non per la rapidità con cui si svolse, e per le sofferenze inflitte alla popolazione civile, sottoposta a durissimi bombardamenti preparatori, gli stessi che avrebbe, di lì a poco, martoriato le principali città sicule. Nei primi giorni di luglio in Sicilia erano presenti circa 260.000 soldati; 175.000 italiani e 28.000 tedeschi tra le truppe combattenti, gli altri addetti ai servizi. Le situazione drammatica delle difese dell’isola era già stata evidenziata dal generale Roatta, predecessore di Guzzoni al comando militare dell’isola. Parlando del prevedibile sbarco alleato, Roatta disse che: “…(la difesa costiera) non è in condizioni di impedire lo sbarco, ma solo in misura di ostacolarlo, di ritardarlo e di contenere per un tempo più o meno lungo l’avversario sbarcato”. Anche la superiorità aerea alleato era fuori discussione: a fronte di 1.320 aerei disponibili dagli italiani, gli Alleati potevano contare su 2.050 bombardieri e 2.200 caccia, senza contare gli aerei dislocati in Marocco e a Gibilterra.
Infine un altro problema era rappresentato dalle divergenze tra il comando italiano in Sicilia e quello tedesco. Le truppe tedesche erano, in teoria, agli ordini del generale Guzzoni, ma in pratica il comandante italiano dovette indire numerosissime riunioni con gli ufficiali tedeschi che, ancora dubbiosi sullo sbarco in Sicilia (come vedevamo, la beffa del maggiore Martin aveva funzionato), erano comunque discordi sulle località siciliane in cui sarebbe avvenuto quello che per loro restava un ipotetico sbarco. L’unica conclusione a cui poté giungere il generale Guzzoni fu che lo sbarco sarebbe stato, eventualmente, contrastabile, solo quando si fossero palesate le vere intenzioni degli Alleati. In altri termini: stiamo a vedere cosa accadrà, poi vedremo cosa riusciremo a fare…
E quel che accade è noto: nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 una poderosa flotta anglo americana fece rotta verso la Sicilia, già avvistata nel pomeriggio da un aereo da ricognizione della Luftflotte. All’alba del 10 luglio, dopo che i cannoni delle navi avevano aperto un intenso fuoco preparatorio, le forze alleate sbarcarono sulle zone previste: la VII armata americana del gen. Patton prese terra sulle spiagge di Gela, Licata e Scoglitti, mentre l’VIII Armata inglese del gen. Montgomery raggiunse le coste sud orientali della Sicilia, tra Pachino e Siracusa. Sull’isola in pochi giorni sbarcarono 181.000 uomini, di cui 115.000 britannici e 66.000 americani), con 1.800 cannoni, 600 carri armati e 14.000 automezzi. Alla fine della campagna, la presenza alleata assommò a 478.000 soldati, di cui 250.000 britannici e 228.000 americani.
Solo nel golfo di Gela le forze alleate trovarono un’energica resistenza, che costò la vita a 197 soldati italiani, che non poterono peraltro impedire una conquista, che già nella mattinata fu completata. Nelle altre zone di sbarco, anche per l’intenso bombardamento preparatorio, inglesi e americani non trovarono alcuna resistenza seria.
Senza dubbio gli eventi militari in Sicilia furono il colpo di grazia all’ormai vacillante regime di Mussolini, che solo poche settimane prima aveva giudicato impossibile lo sbarco sull’isola, munita di “poderose difese”, nel famoso discorso passato alla Storia per l’errore di chiamare la linea in cui il mare tocca la costa “linea del bagnasciuga” anziché “battigia”. Ben più gravi errori di quelli lessicali erano da attribuire al duce, ma il Maresciallo Badoglio, nuovo capo del Governo, non ebbe la volontà o non poté (non è qui il luogo per un’analisi) risparmiare all’Italia ulteriori lutti. La guerra in Sicilia, come nel resto del Paese, continuò e si concluse con un altro incredibile esempio di disorganizzazione alleata, che permise a italiani e tedeschi di passare lo stretto e riparare in Calabria quasi senza subire perdite e con la quasi totalità dei mezzi. Molto semplicemente, nella pianificazione della conquista della Sicilia nessuno aveva previsto la chiusura dello Stretto di Messina, che si sarebbe potuta attuare senza problemi, data l’incontrastata superiorità aerea e militare degli Alleati.
Non è stata mai provata una collaborazione diretta tra gli Alleati e la mafia per favorire l’invasione della Sicilia del 1943, anche se Vito Genovese, il luogotenente di Lucky Luciano, fu l’aiutante e interprete di Charles Poletti, già governatore dello Stato di New York, comandante militare degli affari civili dell’AMGOT – Allied Military Government Occupied Territories, il Governo militare alleato dei territori occupati. Sta di fatto che dopo lo sbarco in Sicilia e la conseguente situazione caotica gli occupanti si rivolsero ai soggetti che potessero garantire il controllo del territorio. Accadde così che mafiosi dello stampo di Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo assumessero cariche pubbliche. La mafia acquisì il controllo del mercato nero, evento questo che favorì la ricostituzione del suo tessuto criminale.
L’AMGOT ebbe un rapporto più concreto con il MIS, il Movimento Indipendentista Siciliano, a cui dopo lo sbarco in Sicilia “i responsabili del governo militare di occupazione affidarono il 90% delle amministrazioni”, come denunciò la prima relazione della Commissione parlamentare antimafia del 1972 . Il MIS nel 1944 costituì l’EVIS – Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia di cui fecero parte banditi e mafiosi. Salvatore Giuliano, il responsabile della Strage di Portella della Ginestra, ebbe il grado di tenente colonnello dell’EVIS.




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