Nel primo pomeriggio del 23 novembre 1942 l’Armata Rossa accerchiava le truppe tedesche e riportava una vittoria decisiva nella battaglia di Stalingrado. La guerra cambiava completamente volto.
La battaglia, iniziata nell’estate 1942 con l’avanzata delle truppe dell’Asse fino al Don e al Volga, finì nell’inverno 1943, segnando la prima grande sconfitta della Germania nazista, nonché l’inizio dell’avanzata sovietica.
Durante l’ultimo conflitto mondiale, l’esercito nazista raggiunse il suo massimo potenziale distruttivo intorno agli anni 1941-1942, quando, in seguito alla sconfitta e all’annessione della Francia al Reich, la Germania non correva più il pericolo di essere accerchiata su due fronti (come avvenne durante la prima guerra mondiale). Fu proprio la caduta del fronte occidentale che spostò l’attenzione di Hitler verso il suo antico “alleato”, l’Unione Sovietica. Il 23 agosto del 1939, infatti, Germania e Urss avevano stipulato un “patto di non belligeranza” e di spartizione del territorio polacco, che aveva per Hitler lo scopo precipuo di poter dedicarsi senza pensieri all’offensiva verso occidente. In realtà, il Mein Kampf, il libro nel quale Hitler aveva esposto i capisaldi della teoria e della pratica naziste, esprimeva già apertamente le intenzioni del dittatore in merito alle regioni dell’est europeo ed in particolare dell’Unione Sovietica.
L’occupazione di questi territori era considerata vitale per la creazione di zone adibite a rifornire la “Grande Germania” di granaglie ed altri generi ricavabili dal suolo e dal sottosuolo (il territorio dell’Urss era ed è ricchissimo di minerali). Anche per quanto riguardava la popolazione il Fürher aveva le idee chiare; le genti dell’est potevano essere usate solo come schiavi della “Grande Germania”, mentre per i commissari bolscevichi il trattamento era diverso.
Ecco quali erano le direttive della Wehrmacht per la lotta in Russia (1941). Riguardo ogni esponente politico locale la truppa deve essere cosciente di quanto segue: 1. In questa lotta è errato un atteggiamento di indulgenza e di rispetto del diritto internazionale nei confronti di questi elementi. Essi sono pericolosi per la sua sicurezza e per una rapida pacificazione dei territori conquistati. 2. I commissari politici sono promotori di barbari e asiatici metodi di lotta. Bisogna quindi procedere contro di loro immediatamente, e senz’altro con ogni asprezza. Conseguenza essi dovranno essere immediatamente passati per le armi quando fossero catturati in combattimento o in azioni di resistenza.
Anche per i civili che resistevano al Reich, veniva applicata la medesima pena. Il 22 giugno 1941 iniziò la cosiddetta “operazione Barbarossa”: truppe tedesche, appoggiate da truppe finlandesi, romene e ungheresi, per un totale di circa 3 milioni di uomini dotati di 10.000 carri armati e 3.000 aerei, iniziarono l’invasione del territorio sovietico. Unito a questo potenziale enorme il 26 giugno 1942, Mussolini aveva inviato un corpo d’armata (C.S.I.R., Corpo di Spedizione Italiano in Russia, composto da circa 60.000 uomini guidati dal generale Messe) che il 9 luglio 1942 divenne l’ARM.I.R. (Armata italiana in Russia), “forte” di 220.000 uomini al comando del generale Italo Gariboldi (il generale Messe era stato deposto per essersi opposto all’intenzione del duce di inviare altre 6 divisioni in Russia – offeso non fece nemmeno le consegne, se ne ritornò in Italia), male equipaggiati e male armati, destinati a essere massacrati più dal freddo che dal nemico.
Le truppe naziste, che come visto dalle direttive sopra, dovevano considerare la lotta contro il “bolscevico” in termini di lotta di sterminio senza alcuna indulgenza e considerazione delle direttive internazionali, si giovarono enormemente del fattore sorpresa.
Hitler voleva una nuova “guerra lampo” come quella attuata in Polonia nel 1939 e in Francia nel 1940, che potesse spezzare rapidamente la resistenza nemica e occupare l’Ucraina, mentre a sud si doveva raggiungere la zona caucasica ricchissima di petrolio, per poi puntare su Leningrado e Mosca. Lo stesso Hitler, infatti durante una riunione con i suoi comandanti, in proposito dichiarò che se non avesse ottenuto il petrolio di Maikop e Grozny avrebbe dovuto por fine a quella guerra. Già alla fine dell’autunno del 1941 i Paesi Baltici, la Bielorussia la Crimea settentrionale e buona parte dell’Ucraina erano state occupate. I successi tedeschi furono enormi e le truppe russe furono costrette ad indietreggiare, facendo terra bruciata dietro di loro.
L’Unione Sovietica ebbe perdite gigantesche sia dal punto di vista militare (l’Armata Rossa ebbe oltre un milione e mezzo di soldati fatti prigionieri) che economico e umano. Il territorio russo caduto in mani tedesche era stato precedentemente spogliato dai Sovietici d’ogni struttura considerata utile per gli impieghi bellici e trasportato lontano dalle prime linee, quindi aveva dovuto subire le distruzioni e i massacri perpetrati dai tedeschi. Nonostante ciò, l’enorme estensione dell’Unione Sovietica diede la possibilità e il tempo all’esercito russo di riorganizzarsi. Il comandante in capo dell’esercito sovietico era il generale Zukov, che seppe rigenerare le sue truppe inserendo soldati “freschi” (non un grosso problema grazie alle immense risorse demografiche del Paese) e ben equipaggiati, preparando una controffensiva.
Nel dicembre del 1941 dopo aver difeso strenuamente Mosca, Zuckov passò al contrattacco su Mosca facendo arretrare di 200 km i tedeschi. Hitler era però impaziente, desiderava quanto prima una vittoria decisiva, spazzando via “l’indebolita” Armata Rossa prima che l’inverno russo cominciasse ad essere un problema. Quindi, la Germania lanciò un offensiva generale in direzione del Don e del Volga meridionali, nella zona caucasica; il fulcro degli scontri si focalizzò su Stalingrado. Il progetto di Hitler era quello di occupare proprio quei territori dell’Unione Sovietica meridionale, che erano ricchissimi di petrolio, e quindi tentare da lì il ricongiungimento con l’esercito giapponese che nel frattempo stava occupando molti territori asiatici, (Malesia, Filippine, Indie olandesi, Hong Kong, Singapore, Birmania) spingendosi massicciamente verso ovest. Il centro decisivo dei combattimenti divenne ben presto la città di Stalingrado, in particolare dal luglio 1942 fino al febbraio 1943.
Già dall’inizio del 1942 a Stalingrado erano iniziati dei lavori di costruzione di bastioni e fossati difensivi con l’aiuto della popolazione. Lavori ciclopici con oltre 192.000 uomini utilizzati, che costruirono 6.500 fortini e 3.300 trincee coperte. All’inizio dell’estate del 1942 l’evacuazione della città non era ancora cominciata, ma già il 17 luglio la 6ª armata tedesca cominciò l’attacco alla linea del Don (a circa 150 km da Stalingrado), sfondata la quale si avrebbe avuto libero accesso alla città.
La 62ª armata russa, con 6 divisioni al completo fu lanciata più volte al contrattacco per impedire al nemico di occupare il traghetto sul Don. L’avanzata tedesca venne arrestata. Deciso più che mai a raggiungere l’obiettivo Hitler inviò sul posto altri 3 corpi d’armata, il 17° e l’11° di fanteria, più la 4ª armata corazzata. La 51° armata russa fu costretta ad indietreggiare, ma i tedeschi riuscirono ad avanzare di soli 60 km in un mese. L’ordine del giorno emanato il 28 luglio 1942 dal commissario del popolo per la difesa della città, incise fortemente nell’antichissimo amor di patria e nell’orgoglio del popolo sovietico e dei stalingradesi: “…è giunto il momento di cessare la ritirata: non più un passo indietro!
Questa deve essere la nostra parola d’ordine. Bisogna combattere tenacemente fino all’ultima goccia di sangue … aggrapparsi ad ogni zolla di terra sovietica e difenderla sino all’ultima possibilità”. L’effetto morale di quest’ordine fu eccezionale. A metà agosto l’aviazione cominciò un’ondata incredibile di bombardamenti sul nemico appoggiata da un cannonneggiamento incessante dell’artiglieria, fermando nuovamente l’avanzata tedesca, ormai alle porte di Stalingrado. Sul finire di agosto, il generale Paulus, comandante in capo della 6ª armata era riuscito comunque, sfondando il fronte a nord, ad arrivare al Volga tagliando i rifornimenti alla città (fondamentali per la difesa), che arrivavano da nord via ferrovia e via fiume. Stalingrado ora era veramente rimasta sola. Le milizie delle fabbriche si mobilitarono, vennero allertate e armate in meno di un’ora: “Molti venivano direttamente dal lavoro e non avevano fatto in tempo a togliersi le tute e a lavarsi le mani e la faccia per togliersi l’olio di macchina”. Così come gli operai, anche migliaia di abitanti affluirono nella 62ª e 64ª armata, circa 59.000 civili, oltre i 50 anni e tra i 14 e 17 anni presero le armi. I tedeschi continuavano a premere e ad avanzare, ma ogni metro di terreno costava loro molto caro: durante i primi dieci giorni di settembre i tedeschi ebbero, agli accessi di Stalingrado, 24.000 morti e perdettero 185 cannoni e 500 carri armati.
Dal 13 settembre i combattimenti dalla periferia della città si spostarono all’interno e cominciò una furibonda battaglia strada per strada, una battaglia preceduta dall’evacuazione di oltre 120.000 donne, bambini e anziani. Il 12 settembre Hitler aveva ordinato di prendere la città in un sol colpo, così Paulus gettò nella mischia le sue migliori divisioni e oltre 500 carri armati ben supportati da continui bombardamenti aerei. Staligrado era quasi presa. I tedeschi erano a 800 metri dal quartier generale del generale Ciukov, nuovo comandante della 62ª armata. Lo stesso Ciukov affermò “il nemico è più forte di noi di almeno quindici-venti volte”; eppure i russi resistevano. Tra il 21 e 23 settembre dopo attacchi furiosi e incessanti i germanici raggiunsero il centro della città ma continuarono a trovare una resistenza durissima. Anzi, sul finire di settembre Ciukov lanciò una controffensiva in diversi punti che impegnò i tedeschi e impedì loro di avanzare oltre. Hitler rimaneva convinto della vittoria.
Il 30 settembre affermava: “Noi prenderemo d’assalto Stalingrado e la conquisteremo, su questo potete contare…”. Così venne organizzato e lanciato un poderoso attacco al quale presero parte 9 divisioni delle quali 2 corazzate: l’azione iniziò il 14 ottobre alle ore 8.00 su un fronte di 4 km ma portò soltanto allo sfondamento del fronte sinistro, raggiungendo lo stadio della STZ, ma niente di più. Le truppe furono bloccate e logorate per settimane e solo l’11-13 novembre riuscirono finalmente a raggiungere il Volga, ma solo in un settore largo 500m. Il 17 novembre 1942 cominciò a nevicare. I russi riuscivano a contrastare la martellane avanzata del nemico grazie ai loro continui attacchi notturni,(cosa che solo raramente facevano i tedeschi) e grazie ad un grande impiego di cecchini. Oltre 400 erano i maestri del tiro: il solo soldato Zaitsev durante la battaglia di Stalingrado uccise da solo 242 nemici. A metà novembre si cominciò ad organizzare la controffensiva sovietica.
Il numero degli uomini aumentò di 5 volte, i fronti a sud-ovest del Don ora disponevano di 17.031 cannoni e mortai, più di 1140 carri armati e di 1267 aerei. Le truppe concentrate sul fronte nei pressi di Stalingrado rappresentavano il 25 per cento della disponibilità complessiva sovietica di fanteria e il 60 per cento di unità corazzate e motorizzate. Il contrattacco comandato dal generale Zukhov fu lanciato il 19 novembre 1942. Scopo della manovra era far in modo che le truppe sovietiche riuscissero a sfondare il fronte a nord e a sud-ovest e ad accerchiare l’armata presente in città. La 3ª armata rumena, di stanza a nord di Stalingrado cominciò a dare segni di cedimento, soprattutto morale: la neve cadeva abbondante e l’arroganza dei tedeschi cominciava a divenire insopportabile.
Il generale Paulus non si sentiva minacciato da un accerchiamento, così la 6ª armata cercò di rimanere nella parte più interna dell’anello, senza però tentare di sfuggire dalla morsa. L’armata rumena cedette a Kletskaia (i russi fecero oltre 27.000 prigionieri) e due divisioni corazzate sovietiche si gettarono all’assalto della città di Kalac a est di Stalingrado per cercare di completare l’accerchiamento dell’armata tedesca. Dal 24 al 30 novembre l’aviazione sovietica effettuò complessivamente nel settore di Stalingrado 5768 missioni, ossia 824 incursioni giornaliere in media, superando di cinque volte le incursioni della Luftwaffe durante lo stesso lasso di tempo.
L’accerchiamento venne ultimato, il generale Paulus era dell’idea che la 6ª armata avrebbe dovuto sfondare l’anello con le proprie forze, ma Hitler in un primo tempo tergiversò, poi decise che la 6ª armata avrebbe dovuto assumere la difesa a riccio e attendere l’offensiva che l’avrebbe sbloccata dall’esterno. Tuttavia l’atteso ordine che il 25 novembre avrebbe dovuto portare la 6ª armata ad aprirsi una breccia tra le fila del nemico non giunse mai. Il generale Paulus non ordinò l’attacco dall’interno, non solo per non contraddire l’ordine di Hitler, ma anche perché egli stesso non credeva di poter accumulare un numero così cospicuo di uomini (che avrebbero dovuto lasciare le loro posizioni di difesa) per aprirsi un varco. In questa situazione i tedeschi organizzarono una controffensiva: i resti della 3ª armata rumena, la 4ª armata corazzata tedesca e la 4ª armata rumena, (chiamato gruppo d’esercito “Don”) al comando del generale Von Manstein, decisero l’assalto per spezzare l’accerchiamento e liberare la 6ª armata.
L’attacco iniziò il 12 dicembre e venne tentato nei pressi di Kotelnikovo, a sud-est del Don, ove giunse anche la 6ª divisione corazzata tedesca che giungeva dalla Francia. Troppo tempo era stato impiegato da Manstein per preparare la controffensiva, così i russi ebbero la possibilità di rafforzarsi nella zona. L’attacco tedesco fu ben congegnato, ma arrivò solo a 30 km dalle truppe del generale Paulus, grazie alle ingenti truppe sovietiche schierate a difendere l’anello. L’offensiva proseguì violentissima fino al 20 dicembre, ma già il 23 dicembre i tedeschi dovettero mettersi sulla difensiva. Il generale nazista Mellentin, vista fallita l’opportunità di sfondare il blocco, disse “non è esagerato affermare che questa battaglia portò alla crisi del Terzo Reich…e fu l’anello decisivo nella catena di avvenimenti che determinarono la sconfitta della Germania”. Durante il mese di dicembre vennero completamente annientate la 3ª e la 4ª armata rumena oltre alla 8ª armata italiana.
La 6ª e la 4ª armata corazzata tedesca si trovavano ora accerchiate da 7 armate sovietiche e avevano come alternativa la capitolazione o l’annientamento totale. Le due armate tedesche avevano avuto già perdite intorno agli 80.000 uomini, quindi rimanevano 250.000 uomini accerchiati, i quali non riuscivano quasi più ad ottenere alcun tipo di rifornimento: gli JU-52 aerei da trasporto tedeschi non erano più in grado di fornire approvvigionamenti; infatti l’aviazione e la contraerea sovietica solo nel mese di dicembre avevano abbattuto più di 700 aerei di questo tipo. Mancava il carburante, fondamentale anche per cercare di riscaldarsi ed inoltre le divise invernali dei tedeschi non erano riuscite a giungere con i rifornimenti. I tedeschi presi dai morsi della fame cominciarono a dare la caccia a gatti, cani, corvi.
Data la situazione tragica delle due armate, l’8 gennaio 1943 il comando russo, propose la capitolazione al nemico, concedendo loro un alimentazione normale e perfino la possibilità di mantenere le loro uniformi i loro effetti personali e per gli ufficiali superiori il permesso di continuare a portare le armi da taglio. I russi avrebbero atteso la risposta solo fino alle 10 del giorno dopo. Hitler aveva già comunicato al generale Hube la sua volontà; egli voleva che le due armate resistessero ad oltranza per impegnare il più possibile le truppe tedesche e evitare di cedere la linea ferroviaria Stalingrado-Kotelnikovo, ritenuta un arteria fondamentale.
Alle 8.05 del 10 gennaio l’artiglieria e l’aviazione sovietica cominciarono a bombardare massicciamente il nemico e la fanteria, con l’appoggio dei carri, sferrò un pesante attacco. Cominciò quindi la resa in massa dei soldati e degli ufficiali tedeschi. Tra il 27 e il 29 gennaio 1943 i russi catturarono oltre 15.000 uomini ma i combattimenti continuarono tuttavia per alcuni giorni. Il 31 gennaio alle ore 10 il comandante delle truppe tedesche generale Paulus venne fatto prigioniero e trattò la resa. Nella terza fase della controffensiva russa (dal 10 gennaio al 2 febbraio 1943) l’esercito germanico perse altre 22 divisioni e oltre 91.000 ufficiali e soldati vennero fatti prigionieri: a conti fatti quindi, durante questa battaglia senza precedenti gli invasori sacrificarono qualcosa come 32 divisioni e 3 brigate, oltre ad avere altre 16 divisioni semi-distrutte. La città era ridotta ad un cumulo di macerie, ricolma di mine spolette e bombe inesplose; sparsi per ogni dove vi erano oltre 30.000 cadaveri.
Questo scontro fu uno dei più accaniti e tragici della storia: come venne definita da Massimo Salvadori fu “la più grande battaglia della storia umana”. Durante tutti i combattimenti stradali non vi fu a Stalingrado alcuna pausa operativa. La lotta si svolgeva senza tregua. Nel periodo che va dal settembre al 20 novembre i tedeschi intrapresero più di 700 attacchi. Alla vigilia dell’aggressione contro l’Urss le forze armate tedesche contavano 7.234.000 uomini tra soldati e ufficiali. Gli effettivi terrestri erano 3.800.000, oltre a 1.200.000 uomini della riserva terrestre, 1.680.000 uomini delle forze aeree e 404.000 uomini della marina, cui si devono aggiungere circa 150.000 uomini facenti parte delle SS. Ebbene, la Germania destinò a questo attacco il 70 per cento di tutti gli effettivi di terra a cui vanno sommate 37 divisioni di fanteria fornite dagli Stati alleati, per un totale di 190 divisioni. Lo stesso Hitler ultimato il concentramento di queste truppe lungo il confine sovietico affermò compiaciuto ” E’ il più grande concentramento di truppe di tutta la storia mondiale”.
Le forze armate dell’Asse perdettero nell’attacco all’ Urss 1 milione e mezzo di uomini, 3.500 carri armati, 12.000 cannoni e mortai, 75.000 veicoli e 3.000 aerei, un quantitativo enorme di mezzi e uomini che fu decisivo per la sconfitta della Germania. Il massiccio sbarco degli anglo-americani sulle spiagge della Normandia del 5-6 giugno 1944 con l’enorme impiego di uomini e mezzi (3.000.000 di uomini 1.200 navi da guerra, 6.500 mezzi anfibi, 13.000 aerei) seppur fatto di sorpresa (i tedeschi si aspettavano un attacco nella zona di Calais) avrebbe certamente avuto uno sviluppo differente, se Hitler non avesse spostato gran parte del suo esercito e quello dei suoi alleati ad est. L’intervento anglo-americano, si ebbe solo in seguito alla disfatta della Wehrmacht e soprattutto in seguito all’inarrestabile avanzata dell’Armata rossa. L’esercito sovietico, che con un possente sforzo bellico aveva mobilitato oltre 10 milioni di uomini e un quantitativo enorme di carri armati e aerei, non avrebbe certamente trovato altri ostacoli in Europa.