Papa Francesco ed i tanti impegni di fine Febbraio

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Fine settimana denso di avvenimento quello di Papa Francesco. Nel pomeriggio domenicale ecco la storica visita nella Chiesa anglicana di Ognissanti a Roma: mai nessun Pontefice si era recato presso questa comunità che festeggia quest’anno il bicentenario della sua presenza nella capitale. Una nuova tappa significativa a 50 anni dall’inizio del dialogo ecumenico tra cattolici e anglicani.
Il Papa ha avuto parole di speranza e comunione. Dopo aver ricevuto il benvenuto da parte del reverendo Jonathan Boardman e del vescovo Robert Innes, il Pontefice ha ringraziato per l’invito ed è subito entrato nel vivo della visita: il desiderio di camminare insieme ormai lontano dal sospetto, dalla diffidenza e dall’ostilità reciproci del passato. “Gesù, guardandoci, sembra rivolgere anche a noi una chiamata, un appello: ‘Sei pronto a lasciare qualcosa del tuo passato per me? Vuoi essere messaggero del mio amore, della mia misericordia?’”.
Ed è proprio il bisogno della misericordia divina, unito all’umiltà, sull’esempio di San Paolo, che riuscì a superare così le incomprensioni sorte nella comunità di Corinto, la chiave di volta nel cammino ecumenico odierno: “Diventare umili” e “riconoscersi bisognosi di Dio, mendicanti di misericordia”. E’ questo “il punto di partenza – dice il Papa – perché sia Dio ad operare”:
“Se riconosciamo la nostra debolezza e chiediamo perdono, allora la misericordia risanatrice di Dio risplenderà dentro di noi e sarà pure visibile al di fuori; gli altri avvertiranno in qualche modo, tramite noi, la bellezza gentile del volto di Cristo”.
Cattolici e Anglicani – dice ancora Francesco – su queste basi sono chiamati a camminare insieme, attraverso la testimonianza concorde della carità, con la quale si rende visibile il volto misericordioso di Gesù: “Ringraziamo il Signore perché tra i cristiani è cresciuto il desiderio di una maggiore vicinanza, che si manifesta nel pregare insieme e nella comune testimonianza al Vangelo, soprattutto attraverso varie forme di servizio”.
Dove ci si unisce nel nome di Gesù – sottolinea il Santo Padre – Egli è lì e, rivolgendo il suo sguardo di misericordia, chiama a spendersi per l’unità e per l’amore. Infine, il dialogo del Papa con i fedeli presenti. Tre domande: una sul rapporto oggi tra cattolici e anglicani: “Il rapporto tra cattolici e anglicani oggi è buono, come fratelli. E questo è importante, ma strappare un pezzo dalla storia e portarlo come se fosse un’icona dei rapporti non è giusto. Un fatto storico deve essere letto nell’ermeneutica di quel momento, non con un’altra ermeneutica. Ma è vero che nella storia ci sono cose brutte. ‘Oggi va meglio, ma non facciamo tutte le cose uguali… Ma camminiamo insieme, andiamo avanti insieme. E dobbiamo continuare su questo”.
Una seconda domanda su quali siano le tappe da seguire nel dialogo ecumenico, tra teologia e azione sociale: “Ambedue le cose sono importanti. Non si può fare il dialogo ecumenico fermi. Il dialogo ecumenico si fa in cammino perché il dialogo ecumenico è un cammino e le cose teologiche si discutono in cammino. Ma nel frattempo noi ci aiutiamo, noi, uno con l’altro nelle nostre necessità, nella nostra vita, anche spiritualmente ci aiutiamo. Si deve cercare il dialogo teologico per cercare anche le radici, sui sacramenti, su tante cose su cui ancora non siamo d’accordo. Ma questo non si può fare in laboratorio: si deve fare camminando, lungo la via”.
Poi una terza domanda su come migliorare i rapporti alla luce di quanto di buono fanno le Chiese del Sud del mondo: “Le Chiese giovani hanno una vitalità diversa, perché sono giovani. Per esempio, io sto studiando, i miei collaboratori stanno studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan, perché sono venuti i vescovi, l’anglicano, il presbiteriano e il cattolico, tutti e tre insieme a dirmi: ‘Per favore, venga in Sud Sudan, soltanto una giornata, ma non venga solo, venga con Justin Welby’, l’arcivescovo di Canterbury. Da loro, Chiesa giovane, è venuta questa creatività. E stiamo pensando se si può fare, anche se la situazione è troppo brutta laggiù… Ma lo dobbiamo fare, perché loro, tutti e tre insieme, vogliono la pace e loro lavorano insieme per la pace”.
Confermata dunque la volontà auspicata con la Dichiarazione comune firmata nell’ottobre scorso tra Papa Francesco e il primate della Comunione anglicana, Justin Welby di andare oltre gli ostacoli verso la piena unità e il desiderio di un cammino ecumenico, che non sia solo teologico, ma nelle azioni concrete su temi comuni, come la cura del Creato, la carità e la pace.

In mattinata, davanti ai fedeli, il Papa era intervenuto nell’appuntamento con l’Angelus: “Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
L’odierna pagina evangelica (cfr Mt 6,24-34) è un forte richiamo a fidarsi di Dio – non dimenticare: fidarsi di Dio – il quale si prende cura degli esseri viventi nel creato. Egli provvede il cibo a tutti gli animali, si preoccupa dei gigli e dell’erba del campo (cfr vv. 26-28); il suo sguardo benefico e sollecito veglia quotidianamente sulla nostra vita. Essa scorre sotto l’assillo di tante preoccupazioni, che rischiano di togliere serenità ed equilibrio; ma quest’angoscia è spesso inutile, perché non riesce a cambiare il corso degli eventi. Gesù ci esorta con insistenza a non preoccuparci del domani (cfr vv. 25.28.31), ricordando che al di sopra di tutto c’è un Padre amoroso che non si dimentica mai dei suoi figli: affidarsi a Lui non risolve magicamente i problemi, ma permette di affrontarli con ’animo giusto, coraggiosamente, sono coraggioso perché mi affido al mio Padre che ha cura di tutto e che mi vuole tanto bene.
Dio non è un essere lontano e anonimo: è il nostro rifugio, la sorgente della nostra serenità e della nostra pace. È la roccia della nostra salvezza, a cui possiamo aggrapparci nella certezza di non cadere; chi si aggrappa a Dio non cade mai! È la nostra difesa dal male sempre in agguato. Dio è per noi il grande amico, l’alleato, il padre, ma non sempre ce ne rendiamo conto. Non ci rendiamo conto che noi abbiamo un amico, un alleato, un padre che ci vuole bene, e preferiamo appoggiarci a beni immediati che noi possiamo toccare, a beni contingenti, dimenticando, e a volte rifiutando, il bene supremo, cioè l’amore paterno di Dio. Sentirlo Padre, in quest’epoca di orfanezza è tanto importante! In questo mondo orfano, sentirlo Padre. Noi ci allontaniamo dall’amore di Dio quando andiamo alla ricerca ossessiva dei beni terreni e delle ricchezze, manifestando così un amore esagerato a queste realtà.
Gesù ci dice che questa ricerca affannosa è illusoria e motivo di infelicità. E dona ai suoi discepoli una regola di vita fondamentale: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio» (v. 33). Si tratta di realizzare il progetto che Gesù ha annunciato nel Discorso della montagna, fidandosi di Dio che non delude – tanti amici o tanti che noi credevamo amici, ci hanno deluso; Dio mai delude! -; darsi da fare come amministratori fedeli dei beni che Lui ci ha donato, anche quelli terreni, ma senza “strafare” come se tutto, anche la nostra salvezza, dipendesse solo da noi. Questo atteggiamento evangelico richiede una scelta chiara, che il brano odierno indica con precisione: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (v. 24). O il Signore, o gli idoli affascinanti ma illusori. Questa scelta che siamo chiamati a compiere si ripercuote poi in tanti nostri atti, programmi e impegni. E’ una scelta da fare in modo netto e da rinnovare continuamente, perché le tentazioni di ridurre tutto a denaro, piacere e potere sono incalzanti. Ci sono tante tentazioni per questo.
Mentre onorare questi idoli porta a risultati tangibili anche se fugaci, scegliere per Dio e per il suo Regno non sempre mostra immediatamente i suoi frutti. È una decisione che si prende nella speranza e che lascia a Dio la piena realizzazione. La speranza cristiana è tesa al compimento futuro della promessa di Dio e non si arresta di fronte ad alcuna difficoltà, perché è fondata sulla fedeltà di Dio, che mai viene meno. È fedele, è un padre fedele, è un amico fedele, è un alleato fedele.
La Vergine Maria ci aiuti ad affidarci all’amore e alla bontà del Padre celeste, a vivere in Lui e con Lui. Questo è il presupposto per superare i tormenti e le avversità della vita, e anche le persecuzioni, come ci dimostra la testimonianza di tanti nostri fratelli e sorelle.
Saluto il gruppo venuto in occasione della “Giornata delle malattie rare” – grazie, grazie a voi per tutto quello che fate – e auspico che i pazienti e le loro famiglie siano adeguatamente sostenuti nel non facile percorso, sia a livello medico che legislativo”.
Nelle ultime ore la decisione del Papa di una nuova beatificazione e non solo. Il Pontefice ha infatti ricevuto il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il Dicastero a promulgare i decreti riguardanti un nuovo Beato e sette nuovi Venerabili

Sarà Beato il sacerdote slovacco Tito Zeman, salesiano, di cui è stato riconosciuto il martirio. Nato nel 1915 presso Bratislava, si trasferisce a Roma dove studia alla Gregoriana ed emette la professione perpetua a 23 anni nella Chiesa salesiana del Sacro Cuore. Nel 1940 viene ordinato sacerdote a Torino.
Tornato in patria, iniziano le prime prove. Nel 1950 il regime comunista cecoslovacco vieta gli ordini religiosi e inizia a deportare i religiosi nei campi di concentramento. Don Zeman organizza viaggi clandestini verso Torino per consentire ai giovani salesiani di completare gli studi per diventare sacerdoti. E’ un grande rischio che affronta con coraggio. Al terzo viaggio è scoperto: viene arrestato, subisce un duro processo, durante il quale è descritto come traditore della patria e spia del Vaticano. E’ a un passo dalla condanna a morte. Il tribunale comunista gli infligge 25 anni di prigione. Esce nel 1964, dopo 12 anni di reclusione, durante i quali subisce torture e privazioni di ogni tipo. Ma il fisico è ormai debilitato e la salute compromessa: muore a 54 anni. “Anche se perdessi la vita – aveva detto – non la considererei sprecata, sapendo che almeno uno di quelli che ho aiutato è diventato sacerdote al posto mio”.
Tra i nuovi Venerabili Servi di Dio, di cui sono state riconosciute le virtù eroiche, figura un medico di Spello, Vittorio Trancanelli. Nato nel 1944, si sposa con Lia Sabatini: ha un figlio naturale e ne adotta altri sette. Opera come chirurgo presso un ospedale di Perugia: per lui è una missione. Al centro di tutto c’è la persona del malato. Anche lui passa attraverso la dolorosa esperienza di numerose malattie. Muore a 54 anni. Poco prima di spirare vuole accanto a sé la moglie e i figli, e indicandoli dice: “Per questo vale la pena vivere; anche se fossi diventato chissà chi, se avessi avuto i soldi in banca, avessi comprato tante case, cosa avrei portato con me adesso? Cosa portavo davanti a Dio? Adesso porto l’amore che abbiamo dato”.

Raffaele Dicembrino




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