LO STORICO RAPIMENTO DI ADOLF EICHMANN

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Eichmann – La storia sulla Germania nazista è piena di violenza ma anche di suicidi, pena capitali e fughe. Uno dei personaggi tra i più ricercati da Israele era un comandante sanguinario che aveva fatto perdere le sue tracce ma che a causa di un’imprudente intervista finì per essere trovato, rapito, processato e giustiziato.
Ricercato per 15 anni dal Mossad, Eichmann viene catturato in Argentina l’11 maggio del 1960. L’Argentina ha una storia di rifiuto di estradizione per i criminali nazisti, così piuttosto che presentare una richiesta di estradizione probabilmente inutile, il Primo Ministro israeliano David Ben-Gurion prende la decisione di sequestrare Eichmann e portato in Israele per un processo pubblico. Il piano è abbastanza semplice. Spiando Eichmann, la squadra si rende conto che la sua routine è estremamente prevedibile. Eichmann vive a San Fernando, una comunità industriale a 20 km dal centro di Buenos Aires. Ogni sera Eichmann rientra a casa in autobus più o meno alla stessa ora. La squadra pianifica dunque di catturarlo mentre Eichmann fa ritorno verso casa. Il piano viene quasi abbandonato quando il giorno designato per la cattura, l’11 maggio 1960, Eichmann non è sul solito autobus ma su un altro bus che passa circa mezz’ora dopo. Una volta sceso dal mezzo, uno degli agenti del Mossad, Peter Malkin gli si avvicina, chiedendogli in spagnolo se ha un momento. Eichmann si spaventa e tenta di andarsene, ma altri due agenti del Mossad vanno in aiuto di Malkin. I tre lo spostano a forza su una macchina dove lo nascondono sul pavimento sotto una coperta. Gli agenti lo portano, infine, in una “casa sicura” a Buenos Aires, dove viene interrogato per nove giorni. Eichmann non impiega molto a rivelare chi sia veramente e non oppone particolare resistenza. Eichmann è un uomo molto orgoglioso e preferisce morire da criminale internazionale piuttosto che continuare a vivere nascondendosi. Viene poi drogato e messo su un aereo per Israele. Il 23 maggio il Primo Ministro israeliano Ben-Gurion annuncia la cattura al parlamento.
Precisamente un mese dopo ebbe inizio in Israele il processo a Adolf Eichmann, il gerarca nazista organizzatore delle deportazioni di massa degli ebrei.


Con 15 capi di accusa, fra cui quello di crimini contro l’umanità, Eichmann viene condannato a morte e impiccato nel carcere di Ramla il 31 maggio 1962. Come da verdetto il cadavere viene cremato e le sue ceneri disperse nel Mar Mediterraneo, al di fuori delle acque territoriali israeliane.
Adolf Eichmann stupì tutti i commentatori per il suo aspetto ordinario e dimesso. Lo scrittore Moshe Pearlman si sentì quasi truffato vedendo comparire alla sbarra un uomo qualunque di mezza età e non il mostro che aveva immaginato. Il filosofo e matematico Bertrand Russell, autore nel 1954 del best seller Il flagello della svastica, vide in Eichmann lo stereotipo del burocrate anonimo e senza volto. La stessa impressione ebbe il giurista Telford Taylor, che poteva vantare una notevole esperienza in fatto di criminali nazisti, avendo ricoperto l’incarico di assistente di Robert H. Jackson, capo del collegio di accusa americano al processo di Norimberga.
Dopo la sentenza, persino il pubblico ministero israeliano Gideon Hausner, che aveva compiuto ogni sforzo per presentare Eichmann alla corte in termini demoniaci, dovette ammettere che «…il suo portamento da leader della Gestapo era scomparso e non c’era alcun indizio della sua forza diabolica e poco che indicasse la sua fin troppo nota malvagità, la sua arroganza e la sua capacità di compiere il male».
Al coro di stupore si unì anche l’inviata a Gerusalemme della rivista “New Yorker”, la filosofa ebrea tedesca Hannah Arendt che presentò Eichmann come un uomo terribilmente normale. All’amico, confidente e collega Karl Jaspers lo dipinse non come un’aquila, ma piuttosto come un fantasma chiuso in gabbia, reso ancor più fragile e vulnerabile da un fastidioso raffreddore che lo costringeva a soffiarsi il naso in continuazione. Un’immagine ben lontana da quella del superuomo ariano, sadico e fanatico, diffusa prima del processo dalla stampa e dalla pubblicistica.
Il “cacciatore di nazisti” Simon Wiesenthal, per evitare il rischio che pubblico e giuria potessero provare pietà per un uomo così ordinario e all’apparenza inoffensivo, propose di far comparire in aula Eichmann in uniforme delle SS. Il suo consiglio rimase ovviamente inascoltato, lasciando all’opinione pubblica mondiale che seguiva le udienza in TV l’arduo compito di conciliare il ritratto dell’aguzzino sadico tratteggiato dagli instant book usciti prima del processo con l’immagine di quell’uomo di mezza età, miope e dalla calvizie incipiente, che prendeva meticolosamente appunti chiuso in una gabbia di vetro antiproiettile e si ostinava a ripetere di essere stato soltanto un esperto di trasporti.
Soltanto la spavalda determinazione con cui, nel maggio del 1960, lo stato d’Israele sfidò il diritto internazionale, autorizzando il suo servizio segreto a rapire Eichmann in Argentina, convinse la stampa mondiale a occuparsi del responsabile del dipartimento IV B4 dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (RSHA). A ridosso del processo vennero pubblicate, in diverse lingue, decine di biografie di Eichmann che, in mancanza di informazioni attendibili, fecero ampie concessioni al sensazionalismo. Alcune invenzioni furono ripetute così tante volte da diventare certezze, come la fandonia, suggerita da Wisliceny, secondo cui il fanatico antisemitismo di Eichmann sarebbe stato generato da un trauma infantile: lo scherno dei compagni di scuola che lo additavano come un ebreo. Simili grossolane interpretazioni si ispiravano, semplificandole sino all’involontaria parodia, alle teorie psicologiche sul nazismo, molto accreditate negli anni ‘40 e ‘50. Lasciando trasparire uno schema interpretativo comune alle biografie di tutti i gerarchi nazisti, a cominciare dallo stesso Hitler, Eichmann veniva ritratto come un disadattato e un fallito, capace di trasformare la propria frustrazione in odio fanatico per il popolo ebraico. La compiaciuta descrizione di episodi, spesso non verificabili, di sadismo, brutalità e perversione sessuale completavano a fosche tinte il quadro di una personalità demoniaca. Il pubblico ministero Hausner non seppe e non volle rinunciare a una rappresentazione così sensazionalistica di Eichmann, ritenendo, erroneamente, che avrebbe giovato alla sua tesi accusatoria. Alla mostruosità dell’olocausto non poteva che corrispondere una incarnazione del male assoluto, anche se, al posto di fauci, zanne, artigli e occhi iniettati d’odio, aveva le fattezze di un qualunque impiegato di mezza età.
Hausner diede ampio risalto a episodi insignificanti o addirittura dubbi al solo scopo di dimostrare la personalità arrogante e brutale dell’imputato. Analizzando le attività dell’ufficio per l’emigrazione ebraica di Vienna, chiese conto a Eichmann degli schiaffi inferti, in preda a un accesso d’ira, al dottor Josef Löewenherz, capo della comunità ebraica viennese. Pur in assenza di prove certe, come riconobbe la stessa corte, si affrettò ad accusare Eichmann di aver ordinato l’esecuzione, nel 1944, di un giovane ebreo colpevole del furto di alcuni frutti nel giardino della sua villa di Budapest.
Oltre a indugiare sul cliché dell’aguzzino sadico e spietato, Hausner si spinse a rappresentare Eichmann, fingendo di ignorarne la modesta posizione gerarchica, come la molla del genocidio: «… era la sua parola che metteva in azione le camere a gas; lui sollevava il telefono e i vagoni partivano verso i centri di sterminio; era la sua firma a suggellare il destino di migliaia di persone».
L’atto di accusa, articolato in quindici capi, non si limitò a contemplare le attività svolte dal dipartimento IV B4 diretto da Eichmann, già di per sé così mostruose da garantire la condanna dell’imputato e la sua perenne esecrazione, ma comprese anche un ampio catalogo di imputazioni che costituiva una sorta di summa delle sofferenze e delle atrocità subite dal popolo ebraico durante il regime nazista. Eichmann fu perciò chiamato a rispondere di una quantità sconcertante di crimini odiosi: dall’istigazione della “notte dei cristalli” nel novembre del 1938 alla pianificazione dello sterminio nella conferenza di Wannsee nel gennaio del 1942, dall’ordine di impiegare il gas Zyklon B nelle camere a gas alle efferatezze commesse dagli Einsatzgruppen in Russia nel 1941, dalle disumane condizioni di vita nei lager alle marce della morte, dalle sterilizzazioni di massa agli aborti coatti, dalla spoliazione degli ebrei europei alla loro riduzione in schiavitù, dalla deportazione di mezzo milione di polacchi, di decine di migliaia di zingari e di 140.000 sloveni all’assassinio di 100 bambini deportati dalla cittadina boema di Lidice. Alcuni capi di imputazione non furono altro che pretesti per moltiplicare le testimonianze sulla barbarie nazista, lasciando in ombra il ruolo dell’imputato. Nella terrificante grandiosità dell’affresco generale gli elementi probatori della sua colpevolezza a tratti quasi svanirono.
Nelle centoventuno udienze del processo sfilarono un centinaio di testimoni per l’accusa, tutti ansiosi di raccontare la loro storia d’orrore. Alcune deposizioni assunsero quasi i caratteri di conferenze sull’olocausto, altre riproposero stralci di memorie di deportazione e di prigionia già da tempo pubblicati. Incurante del richiamo della corte a non tracciare dispersivi “quadri generali” e a rientrare nei binari tradizionali della procedura penale, Hausner si ostinò a chiamare a deporre testi il cui legame con Eichmann era talvolta vago se non evanescente. Zindel Grynszpan, padre di Herschel, l’assassino di Ernst vom Rath (l’ambasciatore tedesco a Parigi) che aveva offerto alle SS, nel novembre del 1938, il pretesto per la “Notte dei cristalli”, riferì la sua vicenda personale benché fosse evidente che Eichmann non aveva avuto parte alcuna nell’organizzazione del pogrom e non vi aveva neppure preso parte. Il poeta e scrittore Abba Kovner, che aveva militato nella resistenza ebraica in Ucraina, fu ascoltato soltanto perché asseriva di aver appreso da un sergente tedesco che all’interno della Wehrmacht circolavano voci sull’importanza di Eichmann nell’organizzazione dello sterminio. Ben cinquantatre testimoni si dilungarono sulla tragedia degli ebrei in Lituania e in Polonia, dove però l’autorità di Eichmann era stata quasi nulla. Pur di portare in aula l’eroica resistenza del ghetto di Varsavia, Hausner non esitò a sacrificare la pertinenza con le responsabilità dirette del dipartimento IV B4; e non fu l’unica volta che accadde. Altri sedici testimoni descrissero le atroci condizioni di vita di Auschwitz, Treblinka, Chelmno e Majdanek su cui, a differenza di quanto avvenne per il “ghetto per vecchi” di Theresienstadt, l’imputato non poté minimamente influire.
La sentenza non mancò di stigmatizzare l’inconsistenza della connessione di Eichmann con alcuni capi di imputazione, come a proposito del suo presunto controllo sugli Einsatzgruppen o sulle condizioni di vita nei lager, ma Hausner raggiunse comunque il suo scopo: raccontare al mondo l’olocausto.
Ma andiamo con ordine e ripercorriamo la sua storia e le tappe della vicenda,
Otto Adolf Eichmann nacque nel 1906 a Solingen, nella Germania settentrionale, figlio di Adolf Karl Eichmann e Maria Schefferling. Nel 1914, dopo la morte della madre, la famiglia si trasferì a Linz, in Austria. Durante il primo conflitto mondiale il padre di Eichmann servì nell’esercito austro-ungarico e al congedo tornò ai propri affari a Linz.
Eichmann abbandonò prima del diploma la scuola superiore e cominciò un corso per meccanico, ma nel 1923 abbandonò anche questo per lavorare presso l’azienda paterna di estrazione mineraria. Tra il 1925 e il 1927 Eichmann trovò impiego come agente commerciale presso l’Oberösterreichische Elektrobau AG. Passato, quale agente distrettuale, alla Vacuum Oil Company AG, una sussidiaria della Standard Oil, rientrò in Germania nel luglio 1933.
Eichmann, che non aveva mai mostrato particolare interesse per la politica, cominciò invece a partecipare a manifestazioni e raduni di partiti politici che in quegli anni si svolgevano numerosi sia in Germania sia in Austria, e, durante una manifestazione del NSDAP, incontrò un vecchio amico di famiglia, Ernst Kaltenbrunner, entrando così a far parte delle SS alle sue dirette dipendenze. La grande svolta nella vita e carriera di Eichmann fu probabilmente rappresentata dalla lettura del libro Lo Stato ebraico di Theodor Herzl, il fondatore del movimento sionista.
Affascinato dalla conoscenza del nemico, Eichmann intuì che una reale possibilità di fare carriera all’interno delle SS consistesse proprio nel presentarsi come esperto di ebraismo e sionismo e a tal fine nel 1937 si recò in Palestina (all’epoca Mandato britannico) dove, sotto copertura, visitò Haifa e diversi kibbutz, prima di essere scoperto dai britannici ed espulso. Eichmann durante il processo (5 aprile 1961)
La grande occasione per Eichmann di distinguersi agli occhi dei capi delle SS e dei pezzi grossi del partito nazista arrivò nel 1938, quando, in seguito all’Anschluss, si ritenne necessario espellere gli ebrei austriaci dal territorio appena annesso al Reich.
Si insediò a Vienna, nell’ex palazzo del barone ebreo Philip de Rothschild, costituendo nell’ambito dell’SD (Sicherheitsdienst, Servizio di sicurezza), il servizio di sicurezza del Reich in capo alle SS, un’apposita agenzia denominata Zentralstelle für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica), deputata all’emigrazione forzata del maggior numero possibile di ebrei austriaci, sistematicamente spogliati di ogni avere e costretti ad abbandonare precipitosamente il paese per salvarsi. In merito all’evacuazione di Vienna Eichmann rivendicò con orgoglio la propria impresa, dicendo di avere fatto trottare i signorini, cacciandone oltre 50.000 dall’Austria.
Benjamin Murmelstein, nell’intervista a Lanzmann dichiarò che da quando nell’estate del 1938 conobbe Eichmann, ebbe chiaro che all’ufficiale delle SS premeva la “cancellazione dei Giudei” dal Reich e con lui dovette giocare d’astuzia, anche quando, in qualità di rabbino, fu poi l’ultimo decano ebreo del lager di Theresienstadt. Fu in questo modo che Eichmann, promosso intanto a ufficiale delle SS, divenne l’esperto degli spostamenti di massa degli ebrei e questo talento per l’organizzazione logistica lo portò a ricoprire un ruolo estremamente importante nell’evoluzione degli eventi che portarono al genocidio. Il successo logistico di Eichmann fu talmente apprezzato che il capo dello SD, Reinhard Heydrich, costituì un nuovo Ufficio centrale del Reich per l’emigrazione ebraica anche a Berlino perché provvedesse all’emigrazione forzata degli ebrei secondo il modello viennese.
Molti ebrei che lo conobbero riferirono inoltre del suo violento disgusto verso di loro, affermando che girava armato di frustino, e percorreva molto velocemente gli uffici dove stavano gli ebrei in attesa del visto per l’espatrio (prima della decisione dello sterminio), poiché non voleva respirare a lungo “l’aria contaminata” dagli ebrei.[3]
Eichmann, diventato così il braccio destro dello specialista degli affari ebraici Heydrich, nel 1939 fu mandato a Praga per provvedere alla emigrazione forzata degli ebrei dalla Cecoslovacchia, appena conquistata da Hitler. Qui le cose non furono così facili come a Vienna, perché Eichmann non poté contare sulla acquiescenza delle sue vittime, consce che ormai erano pochissimi i paesi disposti ad accogliere ebrei in fuga dall’Europa, quindi si rese necessario ammassare la popolazione giudea nei ghetti, dove fu decimata da fame, malattie e freddo. Il riempimento dei ghetti fu l’anticamera dei campi di concentramento e, per Eichmann, il banco di prova per le deportazioni di massa verso i lager: nel gennaio del 1942, con la Conferenza di Wannsee, i vertici nazisti decisero di procedere alla soluzione finale, e, dal marzo 1942, quando i carichi di deportati cominciarono a confluire verso i campi di concentramento di tutta Europa, Eichmann fu il coordinatore e il responsabile della macchina delle deportazioni, colui che materialmente provvedeva a organizzare i convogli ferroviari che trasportavano i deportati verso Auschwitz.
Eichmann fu dunque fino alla fine della guerra uno dei principali esecutori materiali della Shoah, dirigendo personalmente le deportazioni degli ebrei ungheresi sino alla fine del 1944. Fu il padrone della vita e della morte di centinaia di migliaia di persone, ma non divenne mai membro dell’élite nazista e non ebbe mai, con suo grande rammarico, alcun peso in decisioni strategiche della politica o della guerra nazista, restando un efficiente ma oscuro burocrate, poco apprezzato anche dai suoi superiori e dai suoi commilitoni, che gli rimproveravano l’inclinazione all’alcol. T
uttavia la scarsa notorietà gli permise, a fine conflitto, di far perdere le proprie tracce e rimanere nascosto cinque anni nelle campagne tedesche, per poi trovare rifugio in Argentina, come molti altri nazisti.
Eichmann, come altri fuoriusciti nazisti (ad esempio Mengele, il “dottor morte”), nel giugno 1948 venne munito di documenti di identità falsi dal vicario di Bressanone, Alois Pompanin a nome Riccardo Klement, rilasciati dal comune altoatesino di Termeno, attestanti l’esservi nato.
Nel 2007 è stato ritrovato, tra i documenti coperti dal segreto di stato in Argentina, il passaporto falso con il quale Eichmann lasciò poi l’Italia nel 1950: era pure esso intestato a Riccardo Klement, altoatesino, e rilasciato dalla Croce Rossa di Ginevra (dottore Leo Biaggi de Blasys) in base alla testimonianza del padre francescano Edoardo Domoter.
Adolf Eichmann salpò alla volta del Sud America con la speranza di lasciarsi il passato alle spalle, ma con il sogno di poter fare un giorno ritorno in Germania. Le cose non andarono però come sperava e quello che sarebbe successo dieci anni dopo era imprevedibile. Il rapimento da un Paese straniero non è cosa di tutti i giorni.




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