Lampedusa: 7 anni dopo la sua visita, Messa del Papa a Santa Marta per i migranti

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Lampedusa – Papa Francesco anche quest’anno ha voluto immancabilmente celebrare con una Messa l’anniversario della sua visita a Lampedusa, nell’isola tra Tunisia e Italia, davanti ad un braccio di mare, il Canale di Sicilia, “che invece di essere una via di speranza è stato una via di morte” per migliaia di migranti.
Lo ha fatto ora che l’udienza generale è sospesa per tutto il mese di luglio, nella cappella di Casa Santa Marta, dalle 11 alle 12. Una situazione quella dei migranti che sta molto a cuore al pontefice che non manca mai, con parole e gesti di spendersi per il gran numero di persone che abbandonano la loro terra natia per venire a vivere in Europa a carico delle tante strutture sperse per l’Italia e della “solidarietà” più o meno volontaria di tanti di cittadini italiani.
A Lampedusa Bergoglio lanciò questo grido: “Nel luogo simbolo della sofferenza nel Mediterraneo, risuona ancora il grido del Pontefice: “in questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza”, “ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro”! Ci è stata tolta “la capacità di piangere”. La preghiera fu allora quella di chiedere al Signore “perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, “perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore”, “perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”, affinché il mondo abbia “il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore” ricordando sempre le famiglie in difficoltà, i genitori senza lavoro o con lavori precari, gli anziani che non arrivano a fine mese, i fidanzati che non hanno abbastanza soldi per sposarsi, ecc. ecc, ecc…..
L’8 luglio del 2013, dunque, il Papa metteva piede a Lampedusa, nel suo primo viaggio fuori dal Vaticano. Memorabili le immagini di quel giorno. La corona di fiori lanciata in acqua dalla motovedetta, in memoria delle vittime morte in quel Mare Mediterraneo che si trasforma spesso in cimitero. Ma memorabili furono anche le parole del Papa nell’omelia con il richiamo a quella cultura del benessere che ci fa vivere in “bolle di sapone”, belle ma illusorie, portando alla “globalizzazione dell’indifferenza”. Il suo pensiero si sofferma sull’esperienza di quel giorno, sui racconti dei migranti: “C’erano degli interpreti. Uno raccontava cose terribili nella sua lingua, e l’interprete sembrava tradurre bene; ma questo parlava tanto e la traduzione era breve. “Mah – pensai – si vede che questa lingua per esprimersi ha dei giri più lunghi”. Quando sono tornato a casa, il pomeriggio, nella reception, c’era una signora – pace alla sua anima, se n’è andata – che era figlia di etiopi. Capiva la lingua e aveva guardato alla tv l’incontro. E mi ha detto questo: “Senta, quello che il traduttore etiope Le ha detto non è nemmeno la quarta parte delle torture, delle sofferenze, che hanno vissuto loro”. Mi hanno dato la versione “distillata”. Questo succede oggi con la Libia: ci danno una versione “distillata”. La guerra sì è brutta, lo sappiamo, ma voi non immaginate l’inferno che si vive lì, in quei lager di detenzione. E questa gente veniva soltanto con la speranza e di attraversare il mare.
Il popolo di Israele aveva sperimentato come prosperità e ricchezza lo avessero allontanato dal Signore, riempiendogli il cuore di “falsità e ingiustizia”, evidenzia poi il Papa. “Un peccato da cui anche noi, cristiani di oggi, non siamo immuni” afferma, ricordando quanto detto da Gesù.
Se avessimo ancora qualche dubbio, ecco la sua parola chiara: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”». «Tutto quello che avete fatto…», nel bene e nel male!
Questo monito risulta oggi di bruciante attualità. Dovremmo usarlo tutti come punto fondamentale del nostro esame di coscienza, quello che facciamo tutti i giorni. Penso alla Libia, ai campi di detenzione, agli abusi e alle violenze di cui sono vittime i migranti, ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai respingimenti. «Tutto quello che avete fatto… l’avete fatto a me».
La Vergine Maria, Solacium migrantium (aiuto dei migranti), “ci aiuti a scoprire il volto del suo Figlio in tutti i fratelli” costretti a fuggire dalla loro terra per le ingiustizie del mondo, prosegue Papa Francesco. La ricerca del volto del Signore è infatti “la nostra meta ed è anche la nostra stella polare” che non ci fa smarrire, sottolinea ribadendo che l’incontro con l’altro è anche incontro con Cristo.
Sull’asse della fratellanza ruota tutto il Pontificato di Francesco. “Fratelli” è proprio la prima parola che ha rivolto al mondo da Papa, la sera del 13 marzo del 2013. La dimensione della fratellanza è nel Dna di questo Pontefice che ha scelto il nome del Poverello d’Assisi, un uomo che per sé ha voluto come unico titolo quello di “frate”, frater, fratello a conferma del suo pensiero di vita, vita cristiana.




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