Papa Francesco: “le parole hanno un peso”

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Papa – Domandiamoci che genere di parole utilizziamo: parole che esprimono attenzione, rispetto, comprensione, vicinanza, compassione, oppure parole che mirano principalmente a farci belli davanti agli altri? E poi, parliamo con mitezza o inquiniamo il mondo spargendo veleni: criticando, lamentandoci, alimentando l’aggressività diffusa?”

In un momento di crisi e di tensione, di paura e di squilibri internazionali, Francesco esorta alla pace che, dice all’Angelus, si costruisce a cominciare dal linguaggio. Soffermandosi sul Vangelo di Luca di oggi, in cui “Gesù ci invita a riflettere sul nostro sguardo e sul nostro parlare”, il Papa nella sua catechesi mette in guardia dalle conseguenze di un uso improprio e leggero della lingua che può ferire come un’arma. Ecco le parole del papa.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo della Liturgia odierna Gesù ci invita a riflettere sul nostro sguardo e sul nostro parlare. Lo sguardo e il parlare.

Anzitutto sul nostro sguardo. Il rischio che corriamo, dice il Signore, è concentrarci a guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello senza accorgerci della trave che c’è nel nostro (cfr Lc 6,41). In altre parole, essere attentissimi ai difetti degli altri, anche a quelli piccoli come una pagliuzza, trascurando serenamente i nostri, dandogli poco peso. È vero quanto dice Gesù: troviamo sempre motivi per colpevolizzare gli altri e giustificare noi stessi. E tante volte ci lamentiamo per le cose che non vanno nella società, nella Chiesa, nel mondo, senza metterci prima in discussione e senza impegnarci a cambiare anzitutto noi stessi. Ogni cambiamento fecondo, positivo, deve incominciare da noi stessi. Al contrario, non ci sarà cambiamento. Ma – spiega Gesù – facendo così il nostro sguardo è cieco. E se siamo ciechi non possiamo pretendere di essere guide e maestri per gli altri: un cieco, infatti, non può guidare un altro cieco (cfr v. 39).

Cari fratelli e sorelle, il Signore ci invita a ripulire il nostro sguardo. Per prima cosa ci chiede di guardare dentro di noi per riconoscere le nostre miserie. Perché se non siamo capaci di vedere i nostri difetti, saremo sempre portati a ingigantire quelli altrui. Se invece riconosciamo i nostri sbagli e le nostre miserie, si apre per noi la porta della misericordia. E dopo esserci guardati dentro, Gesù ci invita a guardare gli altri come fa Lui – questo è il segreto: guardare gli altri come fa Lui –, che non vede anzitutto il male, ma il bene. Dio ci guarda così: non vede in noi degli sbagli irrimediabili, ma vede dei figli che sbagliano. Cambia l’ottica: non si concentra sugli sbagli, ma sui figli che sbagliano. Dio distingue sempre la persona dai suoi errori. Salva sempre la persona. Crede sempre nella persona ed è sempre pronto a perdonare gli errori. Sappiamo che Dio perdona sempre. E ci invita a fare lo stesso: a non ricercare negli altri il male, ma il bene.

Dopo lo sguardo, Gesù oggi ci invita a riflettere sul nostro parlare. Il Signore spiega che la bocca «esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (v. 45). È vero, da come uno parla ti accorgi subito di quello che ha nel cuore. Le parole che usiamo dicono la persona che siamo. A volte, però, prestiamo poca attenzione alle nostre parole e le usiamo in modo superficiale. Ma le parole hanno un peso: ci permettono di esprimere pensieri e sentimenti, di dare voce alle paure che abbiamo e ai progetti che intendiamo realizzare, di benedire Dio e gli altri. Purtroppo, però, con la lingua possiamo anche alimentare pregiudizi, alzare barriere, aggredire e perfino distruggere; con la lingua possiamo distruggere i fratelli: il pettegolezzo ferisce e la calunnia può essere più tagliente di un coltello! Al giorno d’oggi, poi, specialmente nel mondo digitale, le parole corrono veloci; ma troppe veicolano rabbia e aggressività, alimentano notizie false e approfittano delle paure collettive per propagare idee distorte. Un diplomatico, che fu Segretario Generale delle Nazioni Unite e vinse il Nobel per la Pace, disse che «abusare della parola equivale a disprezzare l’essere umano» (D. Hammarskjöld, Tracce di cammino, Magnano BI 1992, 131).

Domandiamoci allora che genere di parole utilizziamo: parole che esprimono attenzione, rispetto, comprensione, vicinanza, compassione, oppure parole che mirano principalmente a farci belli davanti agli altri? E poi, parliamo con mitezza o inquiniamo il mondo spargendo veleni: criticando, lamentandoci, alimentando l’aggressività diffusa?

La Madonna, Maria, di cui Dio ha guardato l’umiltà, la Vergine del silenzio che ora preghiamo, ci aiuti a purificare il nostro sguardo e il nostro parlare.




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