Cinema – Film – ‘Parlami di te’ commedia drammatica francese

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Parlami di te – Il cinema francese torna nelle sale italiane con una commedia drammatica dal titolo “Parlami di Te”, per la regia di Hervé Mimran, con Fabrice Luchini, Leïla Bekhti, Rebecca Marder, Igor Gotesman, Clémence Massart-Weit, Frédérique Tirmont, Yves Jacques, Micha Lescot, Fatima Adoum, Louise Loeb, Geoffroy De La Taille, Alexia Séféroglou.

La pellicola, il cui titolo originale è “Un Homme Pressé” narra le vicende di Alain un rispettato uomo d’affari e un brillante oratore, sempre in corsa contro il tempo. Nella vita, non concede alcuno spazio alle distrazioni e alla famiglia. Un giorno, viene colpito da un ictus che interrompe la sua corsa e gli lascia come conseguenza una grave difficoltà nell’espressione verbale e una perdita della memoria. La sua rieducazione è affidata a Jeanne, giovane logopedista. Con grande impegno e pazienza, Jeanne e Alain impareranno a conoscersi e alla fine ciascuno, a modo suo, tenterà di ricostruire se stesso e di concedersi il tempo di vivere.

Una vicenda dai forti risvolti umani che è anche una lezione per tutti. Una pellicola che ci narra come la vita possa mutare repentinamente ma anche di come sia importante saper affrontare le difficoltà senza perdersi d’animo.

Hervé Mimran parlando del suo film ci spiega come ha deciso di occuparsi di una vicenda di questo tipo: “Tutto è nato dalla voglia di lavorare con Matthieu Tarot, il produttore del film. Ci incontravamo con una certa regolarità per scambiarci delle idee e parlare dei nostri desideri. Fino al giorno in cui, nel suo ufficio ci siamo messi a parlare di un articolo di Le Monde. Era il 7 febbraio 2013. Era il ritratto di un ex grande manager, Christian Streiff, vittima di un ictus nel 2008, che era stato costretto a nascondere la sua malattia per diversi mesi prima di farsi licenziare in meno di due ore. Era l’inizio perfetto di una storia. Matthieu e io abbiamo incontrato Christian per cercare di convincerlo che la sua vicenda poteva diventare un film. Ci siamo visti diverse volte. Sono riuscito a persuaderlo che non avrei raccontato la sua vita, ma una storia ispirata al suo vissuto. Quando finalmente ha accettato, abbiamo passato svariati pomeriggi insieme affinché io potessi raccogliere il maggior numero possibile di informazioni riguardo alla sua malattia e al mondo dell’impresa. Raccontare il destino di un uomo influente che ha fatto la fortuna delle principali aziende quotate alla Borsa di Parigi non mi interessava più di tanto a onore del vero. Ma quando Christian mi ha rivelato che a 20 anni il suo desiderio profondo era diventare attore, ma i suoi genitori glielo avevano impedito: è comparso l’essere umano dietro al grande capitano d’industria. Una breccia appassionante da scavare per uno sceneggiatore, per rendere simpatico e amabile qualcuno che in partenza non lo è. Peraltro, ho realizzato il sogno di Christian, affidandogli un piccolo ruolo nel film nella sequenza al centro per l’impiego”.

Quando tutto si sgretola, quello che capita al personaggio di Alain, la violenza del colpo che subisce il suo egocentrismo è terribile.

“Spesso, è un incidente della vita che ci fa rendere conto che abbiamo superato i limiti. Christian Streiff è uscito con il massimo dei voti dalle più grandi scuole e università: ha un’intelligenza superiore al normale e possiede una memoria fenomenale, come è dimostrato in una delle scene del film in cui Alain legge e analizza un bilancio in pochi secondi. Dopo il suo incidente, Christian era incapace di ricordarsi il codice del citofono del suo appartamento…. Al di là dell’egocentrismo, è la totalità della vita quotidiana ad andare in frantumi. E bisogna ripartire da zero. La ricostruzione è il tema principale del film. Un tema universale poiché riguarda sia un uomo che conduce una vita agiata, sia un impiegato che si ritrova disoccupato a 50 anni. Nella corsa sfrenata al successo, al denaro, alla riuscita, le persone dimenticano di fermarsi un istante a riflettere su quello che sono, su quello che desiderano veramente”.

Guardando Parlami di te, viene spontaneo pensare che sia stato scritto per Fabrice Luchini, lui un appassionato delle parole che incarna un grande comunicatore che perde la facoltà del linguaggio… “A posteriori sembra scontato! Oggi è difficile immaginare Tout ce qui brille senza Géraldine Nakache e Leïla Bekhti, ma nelle prime versioni della sceneggiatura e prima di incontrare Leïla, il suo personaggio era biondo con gli occhi azzurri… Con il senno di poi, ho capito che scrivere un film per un attore è un errore. Se avessi puntato tutto su Fabrice e poi lui avesse rifiutato il ruolo, il progetto sarebbe sicuramente finito nel cestino. Sarebbe stato difficile immaginare il personaggio per un altro attore. Invece, è avvenuto il contrario. Quando ha dato il suo accordo, ho riscritto il ruolo per lui. Potrei sostenere che ho scoperto Fabrice nei film di Rohmer, ma in realtà la prima volta che l’ho visto sul grande schermo, è stata in una bislacca commedia, Zig Zag Story di Patrick Schulmann. Mi aveva colpito per la sua recitazione atipica e il suo volto illuminato. In seguito, l’ho scoperto in teatro quando ha interpretato Céline. E lì… Il nostro primo incontro è avvenuto in un albergo a Parigi. Inutile dire che ero molto stressato. Nel giro di pochissimo tempo Fabrice mi ha messo a mio agio leggendo la sceneggiatura a voce alta. Poi mi ha complimentato per l’omaggio che rendevo a Un mot pour un autre di Jean Tardieu… opera di cui io ignoravo l’esistenza! È una pièce scritta usando parole che non sono appropriate, ma di cui tuttavia si comprende appieno il significato. Per Fabrice Parlami di te ha rappresentato una sfida tutt’altro che semplice”.

I momenti più gradevoli sul set corrispondono alle scene che fanno presa sul pubblico?

“Mi capita di esaltarmi dietro il monitor, di essere sorpreso, ma mi lascio raramente distrarre. È difficile per me essere spettatore del film che sto girando, anzi considero con diffidenza un atteggiamento di questo genere. Parlami di te è stato un film con un ritmo complicato da gestire, perché eravamo alla costante ricerca di un equilibrio tra molteplici toni. Mi ha dato molto piacere girare le scene in cui gli attori non avevano un testo. È in quelle che si riconoscono i grandi attori. E vi posso dire che ho avuto molta fortuna con Leïla e Fabrice”.

È il terzo film che gira con Leïla Bekhti. Si può parlare di un colpo di fulmine artistico?

“A mio giudizio, è una delle attrici più grandi della sua generazione. Sono più di dodici anni che facciamo parte della stessa famiglia eppure non smette mai di affascinarmi. La sua recitazione è molto incentrata sugli sguardi e sui movimenti del corpo. Quando ho scritto il ruolo di Jeanne, ho immediatamente pensato a lei. Durante un’intervista che abbiamo fatto insieme le hanno chiesto, come capita troppo spesso, delle sue origini e lei ha risposto: «Sogno di interpretare un personaggio che si chiami Jeanne»! Così io le ho scritto quel ruolo, in segreto. Non volevo che si sentisse obbligata ad accettare, detesto il ricatto affettivo. Non le ho mai parlato della sceneggiatura prima di inviarla al suo agente. Il giorno dopo, mi ha telefonato accettando subito il personaggio!”.

In cosa Leïla Bekhti si è spontaneamente ritrovata in questa donna integra e corretta che ha il compito di occuparsi della rieducazione di Alain?

“Jeanne è una logopedista che lavora in un ospedale pubblico. Cura allo stesso modo le persone più disagiate e quelle più facoltose. Siamo tutti uguali con indosso un camice azzurro… Jeanne è capace al tempo stesso di esercitare autorità e ascendente su Alain, ma anche di provare empatia e di trasmettere calore umano. Conosco Leïla da più di 12 anni. Siamo cresciuti insieme, attraverso i nostri film e proporle un ruolo di donna responsabile mi è sembrata una cosa logica e naturale”.

Ci si colloca ai margini della finzione, quando si tratta delle conseguenze molto reali nei casi di accidente cerebrovascolare?

“Non faccio un film per rendere conto della realtà. Amo il naturalismo di alcuni cineasti, ma non corrisponde al mio universo. Quando Christian Strieff mi ha spiegato che straparlava convinto di essere intellegibile, ho capito di avere in mano la chiave di questa storia. Non avevo bisogno di andare a seguire il lavoro di un gruppo di logopedisti per sei mesi! Però, ho svolto molte ricerche, ho incontrato IL neurologo specializzato in ictus e i logopedisti che si erano occupati della rieducazione di Christian. Anche se si decide di non restare incollati alla realtà, non si possono neanche dire delle sciocchezze. Con Leïla, siamo persino andati a parlare con dei pazienti in stadi diversi di riabilitazione. Ogni caso aveva le sue particolarità. Ho parlato con un uomo di 60 anni, brillante, con un eloquio consequenziale fino a quando non gli è stato chiesto di elencare in due minuti tutti gli sport che cominciano con la lettera «S»: come se gli avessero domandato di recitare Proust a memoria. Un’altra paziente, di 80 anni, si esprimeva come Alain nel film: in modo incomprensibile, ma animata da un’intenzione e una lucidità assolute”.

Un aspetto inatteso nella storia è l’assenza di un amore che sbocci tra i personaggi interpretati da Fabrice Luchini e da Leïla Bekhti…

“Lo avrei trovato fuori tema. Non avrei creduto a una storia d’amore incarnata da questi due attori. Quando, con Leïla, siamo andati a vedere Fabrice in teatro, non si erano mai incontrati. Si sono trovati subito in sintonia. Durante la cena che è seguita quella sera, ho visto più due amici che ridevano delle stesse cose che due potenziali amanti. Sostanzialmente io credo nella possibilità di un’amicizia tra un uomo e una donna. In Parlami di te, ho avuto voglia di filmare lo shock dell’incontro tra una donna di un ambiente modesto e un uomo facoltoso, il modo in cui coniugano le loro forze e le loro debolezze”.

Questo però non le ha impedito di giocare la carta del romanticismo tra Jeanne e Vincent, l’infermiere…

“C’è una piccola storia d’amore, nel cuore della grande storia di amicizia tra Jeanne e Alain. Jeanne ha un handicap in amore e questa sua disabilità si spiega in particolare con il suo vissuto famigliare. Non ha voglia di essere amata. Desideravo mostrare un uomo che, malgrado la sua goffaggine, tenta la sua chance con lei. Igor Gotesman è più alto di Leïla di un bel tocco ed è il doppio di lei come stazza: in questa coppia improbabile c’è qualcosa di toccante e di estremamente divertente. E per quanto riguarda la scena in cui Vincent addestra Jeanne sul suo skate, è il mio lato sdolcinato (ride)!”.

Come la scena del salvataggio del cerbiatto di Fabrice Luchini sul cammino di Compostela?

“È realmente accaduto a Christian. Ha davvero salvato un cerbiatto che stava per annegare quando ha fatto il sentiero della Grande Randonnée 5! Mi è molto piaciuto l’aspetto rivelatore della personalità di un uomo come lui che ha quell’episodio… Le riprese nella regione dei Pirenei è stata una boccata di ossigeno dopo un set prevalentemente parigino. Al di là del piacere cinematografico di filmare quei paesaggi in campi lunghi, ha rappresentato una svolta nel racconto: il film si apre e respira al ritmo dei passi di Alain che, finalmente, si concede di vivere il suo tempo”.

Non si può non parlare della rivelazione di questo film, Rebecca Marder che interpreta la figlia di Fabrice Luchini…

“È gentile a parlare di rivelazione, ma non sono stato io a scoprirla. Ci ha già pensato qualcun altro che si chiama Comédie Française. È vero che è straordinaria! Ho visto e incontrato una cinquantina di attrici. Quando ho circoscritto la selezione, l’ho vista diverse volte e ho organizzato un incontro con Fabrice durante il quale è emersa un’evidenza. Era lei!”.

Farebbe sua la battuta pronunciata da Alain all’inizio del film: «Mi riposerò quando sarò morto»? “Lavoro molto, è in questo che trovo il mio equilibrio. Sto imparando piano piano a tenere in considerazione il fattore tempo, a impormi delle parentesi… Il mio mestiere è una passione che coltivo dai tempi dell’adolescenza, contrariamente a quanto è accaduto ad Alain. Lui dimentica sé stesso nel suo lavoro per evitare di porsi delle domande, mentre io nel mio lavoro trovo delle risposte”.

 

 




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