Mario Girotti alias Terence Hill

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Terence Hill. Mario Girotti. Cominciò tutto per colpa di una bicicletta. Nel ’51 lui, un dodicenne come tanti, la desiderava così tanto che per comprarla, lottò contro la timidezza e accettò un ruolo in Vacanze col gangster, prima regia di Dino Risi. «Ogni volta che mettevo piede sul set il cuore mi partiva e mi veniva la febbre, no, il cinema non era per me», questo racconta Terence Hill, che fino al ’67 ha portato il nome di battesimo, Mario Girotti.

Incredibile detto da lui (nel ’99 secondo attore italiano più famoso nel mondo da una classifica di Variety). Da un divo con una carriera nata sotto una buona stella, segnata da commedie, film strappacuore e lacrime di Matarazzo, da autori come Maselli, Pontecorvo, Bragaglia, Gallone, Lizzani, Visconti che lo volle nel Gattopardo. Fino a E.B. Clucher (al secolo Enzo Barboni) che finalmente lo fa innamorare del set con Lo chiamavano Trinità, e a Sergio Leone che gli mette al fianco Henry Fonda in Il mio nome è Nessuno. Fino alla tv, allo strepitoso successo di Don Matteo e di Un Passo dal cielo.

Terence Hill, un italiano americano, che mai ha pensato «di abitare a Hollywood – sorride – ma nel Massachets». Soprattutto un apolide, uno zingaro che mette radici dove e quando gli va, seguendo il suo animo. Un personaggio a sé, un guerriero che ancora non ha sconfitto la timidezza, riservato come chi ha paura di rovinare sensazioni preziose raccontandole.

Un romantico Lone Woolf sia a cavallo (come nei tanti mitici western e in Un passo dal cielo) sia in bicicletta (come in Don Matteo, l’atletico prete che ne una più del diavolo). Con quello sguardo un po’ così, velato di nostalgia, talmente limpido da spiazzare chiunque. Un uomo incontaminato che ricorda l’Uomo tranquillo di John Wayne nel capolavoro di Ford: niente lobby, quanto a denaro e fama «francamente me ne infischio. Quando lavoro dimentico quello che ho fatto prima: sono le prove future che hanno un peso».

E conta «l’atmosfera che si crea sul set. Quella di Don Matteo è una grande famiglia, quella di Un passo dal cielo anche. Ogni interprete è indispensabile, Nino Frassica, Natalie Guetta, Francesco Scali, il Flavio Insinna delle prime serie, Simone Montedoro che lo ha sostituito.

Gubbio è come se appartenesse al cast, una cittadina di provincia dove tutto funziona, e se entri in ospedale non muori come nelle grandi città». E dopo aver girato due serie di Un passo dal cielo è ancora più sposato, se possibile, con la natura: «Oggi va di moda l’ecologia, ma questa fiction non è un manifesto ecologico. Nessuno la predica. Piuttosto è una celebrazione della natura, protagonista tra i protagonisti».

Un gentiluomo d’altri tempi Hill, che finalmente sorride delle paure iniziali. Dell’incontro con Luchino Visconti, «tutti ne parlavano con reverenziale timore, dicevano: stai attento, non è severo, di più. Capirai, io… Invece mi ritrovai a essere diretto da una persona che mi spiegava tutto. Quando gli chiesi perché le mie camicie da garibaldino fossero cinque, con gentilezza rispose: non lo sai che ogni rosso era diverso, non venivano certo confezionate in fabbrica, ma da madri, sorelle, zie, che usavano tele diverse. Non era un uomo terribile come dicevano, un perfezionista piuttosto».

Enzo Barboni, invece, gli fece scoprire la sua ironia: «quando Trinità era nei cinema, mi raccontò che in certi punti del film la gente scoppiava a ridere. Mentre a me, durante le riprese, non era sembrato di aver voluto provocare tale reazione. Meglio, pensai, avevo un’arma e non lo sapevo».
Un attore apprezzato da tutti, un uomo con una vita in salita come tutti, un personaggio capace di regalare emozioni con i suoi personaggi .
Grazie Terence-Marioimage




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